Il politologo Vladimir Borisovich Pastukhov ha 59 anni, è nato a Kiev, è “visiting fellow” al St. Anthony College dell’università di Oxford. Sostiene da anni che per liberarsi dal putinismo occorre realizzare un serio decentramento del potere, la cui struttura estremamente verticale consente al presidente – in nome di una democratura sempre meno… democratica – di fare e disfare governi e di liberarsi con un semplice gesto di chi non lo asseconda.
Da tempo, Pastukhov studia le dinamiche putiniane. Strumentalizzando il passato della Russia, dice spesso (e con lui, tanti altri), l’ha derubata dell’avvenire, da autoritario è divenuto totalitario. Una prova? La recentissima legge sulla coscrizione elettronica, nuovo strumento di oppressione, e di imposizione: “E’ stato fatto il primo passo verso la terza schiavizzazione (la prima sotto gli zar, la seconda sotto i bolscevici internazionalisti, la terza sotto i bolscevici internazionalisti) – ha dichiarato ai media britannici – temo che la società russa non colga il senso profondo di questo provvedimento. Non si tratta solo di reclutamento, o di nuova mobilitazione, di offensiva o di ritirata, bensì della prossima tappa importante nella formazione di uno stato totalitario regolare”. Un brutto segnale: “Significa che l’autorità non cambierà idea, non svolterà, non si fermerà”.
Cosa ha provocato l’indignazione e l’allarme del professor Pastukhov e, a dire il vero, di tantissimi altri, persino nella Russia sotto il ferreo giogo del Cremlino? Merita entrare nel dettaglio. E’ successo infatti in Putinia che il Putinparlamento detto anche Duma abbia approvato l’11 aprile scorso in nemmeno ventitré minuti di putinica discussione, ossia pura formalità (il testo di sessanta pagine è stato consegnato due ore prima del voto), un disegno di legge unico per il momento al mondo: la “convocazione elettronica” dei coscritti, cioè l’obbligo di recarsi senza se e senza ma all’ufficio di registrazione e arruolamento appena si riceverà una mail sul proprio account del sito web Gosuslughi, sorta di anagrafe contributiva dei russi che lo usano per pagare le bollette, o saldare le ammende, o versare le tasse dello Stato, o ancora per iscriversi al medico della mutua, o per presentare domande al fisco o far denunce alla polizia. Insomma, un superspid. Con tutta una serie di costrizioni che raccontano su quale campo di rovine morali e sociali s sta muovendo il regime putiniano: appena ricevi la chiamata alle armi, per esempio, scatta il divieto di espatrio. Contravvenendo il diritto costituzionale di libertà dei movimenti. La legge che di fatto cancella questa prerogativa, riguarda tutti gli uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni, e pure questo ricorda la disperata mobilitazione delle staliniana quando la Russia fu proditoriamente attaccata dal Terzo Reich, col quale aveva stretto un famigerato patto soltanto un anno e mezzo prima…
Secondo questa legge, chi entro venti giorni dalla coscrizione web non si presenta all’ufficio di reclutamento, diventa un reietto sociale: incappa cioè in una serie di “punizioni” che non hanno precedenti, se non ai tempi della servitù della gleba (sotto gli zar) e la dittatura sovietica. Primo: divieto di guidare auto e moto, imposizione automatica che non necessita più di processo; secondo, divieto di accendere mutui o prestiti; terzo, stop alle prestazioni sociali; quarto, blocco delle partite Iva; quinto, congelamento delle compravendite di immobili.
Qualcuno ha osato protestare, o meglio, ha chiesto cosa sarebbe successo nel caso in cui ci fossero cittadini isolati da Internet perché in taiga o perché senza connessioni. Risposta di Andrei Lugovoi, uno degli autori della legge (ispirata dal ministero militare): “Problemi loro”. (Ricordo che intervistai a Mosca Lugovoi, ex spia del Kgb, per il suo coinvolgimento nell’avvelenamento al polonio di Alexander Litvinenko, pure lui ex ufficiale del Kgb diventato fiero dissidente di Putin, morto a Londra il 23 novembre del 2006).
Una legge “scioccante per la sua follia”, è stato il commento di Elena Popova, coordinatrice del Movimento degli obiettori di coscienza. Noti giornalisti come Sergei Parkhomenko e Alexei Venediktov l’hanno vista come una “introduzione della legge marziale senza introduzione formale della legge marziale”, altri l’hanno definita come provvedimento che priva i cittadini dei loro diritti. C’è chi invita a scappar via subito dalla Russia, prima che le maglie della “coscrizione elettronica” immobilizzino i maschi in grado di imbracciare un kalashnikov. Di certo, è una legge concepita per arrestare l’emorragia dell’emigrazione (da quando la Russia ha aggredito l’Ucraina, oltre un milione e mezzo di cittadini russi sono fuggiti all’estero, la più grossa diaspora dfai tempi della Rivoluzione d’Ottobre).
Tuttavia, il regime di Putin che fino a ieri definivamo generosamente soltanto “autoritario” è già “totalitario”. Oh, intendiamoci, so che non esiste una definizione unica ed universale di totalitarismo, ma so che c’è un certo accordo tra gli studiosi del fenomeno (la peste del XX secolo che di nuovo si affaccia nel XXI) su qualche grande linea. In soldoni, i regimi totalitari esercitano il loro potere assoluto sui media, per controllare e manipolare l’opinione pubblica imbottendola di propaganda (le parole del regime, l’oratoria, la retorica, tutto ciò sfrutta le nuove immense e capillari potenzialità del web, delle radio, delle tv); sulle forze armate e sulle forze di polizia, per esercitare il controllo del territorio e di chi lo abita; l’economia, per garantirsi fonti illimitate di capitale, da distribuire ai sodali.
In secondo luogo, i totalitarismi si appoggiano all’ideologia. Infine, si tutelano per edificare un regime di terrore, mantenendosi al potere brandendo l’Excalibur di questa minaccia permanente.
In Russia, tali controlli sono quasi assoluti, e mica da ieri. Putin ha smantellato il sistema elettorale, già alienato da frodi a go-go. Domina i media: persegue i giornalisti che osano criticarlo, e questo fin dall’inizio della sua ascesa. Quando uccisero, nel giorno del suo compleanno (7 ottobre 2006) la povera Anna Politkovskaja, celebre per le coraggiose inchieste sul suo modo di governare la Russia e sulle efferatezze compiute dall’esercito russo in Cecenia, il capo del Cremlino commentò freddamente: “Non so nemmeno chi sia”. Decine di giornalisti russi sono stati ammazzati, centinaia arrestati, e centinaia costretti all’esilio. L’autorità giuridica è palesemente asservita ai voleri del regime: basta seguire il caso dell’oppositore Alexei Navalny, al quale hanno tentato di fare la pelle col solito sistema dell’avvelenamento, per poi infierire con processi farsa e cumuli di condanne.
Quanto all’oligarchia – tipico luogo comune per descrivere i padroni delle ferriere spuntati come funghi dopo il crollo dell’Urss e dopo spietate guerre tra bande mafiose (si calcola che ci siano circa 6mila gruppi mafiosi che hanno le mani sul 40 per cento dell’economia russa, e questo dato lo comunicò anni fa lo stesso Putin) – è un termine obsoleto, lo è in pratica da almeno dieci anni, giacché con Putin i miliardari che tentano di influenzare la politica rischiano ormai di scegliere tra l’esilio, la galera o la morte (vedi la serie sospetta di decessi misteriosi che hanno colpito dall’inizio della guerra almeno una dozzina di magnati, sia rifugiati all’estero, sia in Russia). Di fatto, Putin tiene le redini dell’economia.
Ma per permettergli di impadronirsi del Paese più ricco al mondo di materie prime, Putin ha dovuto ammantare quella che chiama la sua “missione storica” con la nuova (in verità antica) ideologia russa. La Russia che lui evoca è quella vittoriosa su Napoleone. Che è sopravvissuta alla caduta dell’Impero zarista, che ha tenuto testa all’invasione hitleriana e ha sconfitto il Fuerher. Il crollo dell’Urss, secondo Putin, è stato il più grande errore politico del secolo scorso. La sua narrazione è coerente: la fine dell’Unione Sovietica è attribuita soprattutto a pressioni capitalistiche straniere. A chi circonda la Russia, ne brama le ricchezze naturali e la priva del suo spazio d’influenza, per renderla vassalla. I cattivi? Gli agenti americani che hanno tentato di corrompere la società russa. L’Europa ingrata che arma i nostri vicini. L’Occidente perverso e decadente, che alimenta lo scontro tra civiltà. Quella avida e depravata dell’Ovest, cioè Europa e Stati Uniti. E quella “santa e giusta” della Russia che difende i valori tradizionali. L’Occidente che esibisce i diritti universali dell’uomo, sostenendo così la propria superiorità morale, la giustizia, la libertà.
Per Putin e i suoi mentori come Alexander Dughin, il filosofo che teorizza questo scontro fatale di civiltà, è soltanto un’ipocrisia per sedurre e assimilare le altre civilizzazioni, a cominciare da quella del “mondo russo”. La Russia putiniana spezza il legame con l’Europa, “alla quale appartiene culturalmente e verso la quale guardava da tre secoli”, commenta Luc de Barochez, capo del Dipartimento Esteri di Le Point: il settimanale francese ha appena prodotto un interessante supplemento dedicato alla “Russie/Les secrets d’un empire en guerre”.
Farneticazioni, oggettivamente. Hannah Arendt che ha dedicato un saggio sul totalitarismo, sosteneva che alla base di questa concezione del potere assoluto ci fosse un carattere primitivo, farcito di tesi assurde. Tuttavia, funziona in Russia. Per forza: il popolo riceve un messaggio unico, grazie al monopolio dell’informazione (spesso infarcita di disinformacjia, secondo la collaudata scuola sovietica e il perfezionamento del Kgb), non essendoci spazio, se non in nicchie clandestine, per la critica e l’opposizione. Perciò, lo ritiene giusto. Sbagliano certi analisti a puntare su un complotto di palazzo al Cremlino, poiché Vladimir Putin è ancora popolare, come accertano i sondaggi anche di organismi indipendenti. Semmai, il quadro attuale è quello di un paese in cui lo spazio favorevole alla pace è esiguo, marginale. Ha prevalso la rassegnazione. Si è instaurato una sorta di patto dell’ipocrisia col regime. L’ipernazionalismo si nutre di grandezze alimentate da slogan, piegati all’ossequio del potere. Il fascino della mitopeia. Certo, nel subconscio della gente c’è pure la paura. Delle delazioni. Dell’accanimento contro chi vorrebbe la pace. Delle intimidazioni di chi opportunisticamente fa sfoggio di patriottismo. Basta il ricordo del Terrore sotto Stalin. Un’angoscia ancora tanto potente, subdolamente conservata: non a caso, una delle iniziative più “totalitarie” di Putin è stato quello di liquidare la fondazione Memorial, che ostinatamente cercava di documentare gli orrori delle grandi purghe, le responsabilità degli eccidi di massa, il recupero dei documenti sui Gulag e sulle più recenti violazioni dei diritti umani.
Mentre decine di migliaia di giovani sono mandati a combattere e morire per il sogno imperiale di Putin, come carne da cannone (e tanti altri lo saranno grazie alla coscrizione elettronica), la grande macchina propagandistica di Mosca, davvero un’arma potentissima degna avversaria di quella stelle e strisce, lavora ai fianchi l’opinione pubblica enfatizzando il dovere che incombe su Putin, quello di difendere la “Grand Madre Russia” dall’assedio. Il totalitarismo deve mostrarsi come un potere omogeneo, illimitato, incontrastato e di lunga durata. Non importa se la società russa stia regredendo, occorre sforzarsi per sostenere la Russia in pericolo. Che si difende. Si dimentica, o si finge di dimenticare che ad attaccare è stato invece l’esercito di Putin.
Peccato, allora, che per cementare questo colossale inganno, si cerchino capri espiatori, si criminalizzino i pacifisti, si scateni la caccia alle streghe, anzi le streghine come nel caso della bimba di tredici anni che ha fatto un disegno contro la guerra, inguaiando il padre celibe, costretto a fuggire, condannato a due anni per avere insultato le forze armate russe (la motivazione della sentenza gli ha attribuito la nefasta influenza sulla figlia) e poi arrestato a Minsk, la capitale della fedele e serva Bielorussia. E che dire del proditorio arresto di Evan Gershkovich, corrispondente da Mosca per il Wall Street Journal, trasformato in bieca spia della Cia, se non che si è voluto consacrare il clamoroso ritorno alla Guerra Fredda, punteggiato da reciproche espulsioni di diplomatici e da accuse di indebite ingerenze, per non parlare dei devastanti cyberattacchi, di cui i maestri indiscussi sarebbero hacker filorussi (come il gruppo Killnet), usati come efficacissima arma geopolitica. Si vive in bilico su una corda sfibrata, dice un mio vecchio amico di Mosca. Di qui e di là del fronte.
E quando in tv lo stesso Putin ammette le prime difficoltà all’economia causate dalle sanzioni, si vuole preparare la popolazione russa ad un’economia di guerra più dura, e a maggiori e necessari sacrifici. Ovviamente, per colpa dell’Occidente. Non di chi ha innescato tutto ciò, invadendo l’Ucraina quattordici mesi fa. Una guerra che doveva essere lampo. Ma i russi che appoggiano l’avventurista Putin non s’accorgono del disastro immanente. Il padrone del Cremlino ha infatti trasformato la grande Russia in un impero “paria”, quasi vassallo della più astuta Cina.
Comunque vada a finire questa guerra infame, anche se la dovesse vincere, Putin il Totalitario l’ha persa.