Il gruppo paramilitare Forze di supporto rapido (Rsf), protagonista degli scontri con le forze regolari che stanno sconvolgendo il Sudan, affonda le sue radici nel 2013, quando la maggior parte dei suoi componenti, appartenenti alla milizia Janjaweed, si resero protagonisti dei feroci scontri contro i ribelli del Darfur, regione occidentale del Paese. Le Rsf, guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo – di fatto il numero due del Sudan – si stanno scontrando con l’esercito sul futuro assetto del Paese mentre resta in sospeso il processo di transizione che dovrebbe portare il Sudan – attualmente controllato dai militari dopo un golpe – sotto un governo civile.
Sebbene fosse stato stabilito un piano per l’intergrazione delle Rsf nell’esercito, una disputa tra Dagalo, alias ‘Hemedti’, e il capo della giunta militare al potere, Abdel Fattah al-Burhan, sui tempi necessari per imporre il nuovo governo e soprattutto su chi avrebbe guidato il Sudan ha complicato le cose. Si è arrivati così a delle forti tensioni tra le parti che sono sfociate nei duri combattimenti scoppiati sabato mattina.
Le Rsf sono state accusate da più parti di gravi abusi di diritti umani. Nel 2015, secondo quanto riporta la Bbc, circa 40mila dei suoi membri hanno partecipato all’intervento militare a guida saudita in Yemen. Inoltre, nel 2019, miliziani delle Rsf – precisa sempre la Bbc – sono stati inviati in Libia per combattere al fianco dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Haftar contro il governo di Tripoli riconosciuto dalla comunità internazionale (Gna). Tra i crimini di cui le Rsf sono accusate c’è l’uccisione nel giugno 2019 di almeno 120 manifestanti durante un sit-in davanti al quartier generale dell’esercito nella capitale Khartoum, ma anche i rapimenti di donne e bambini e il saccheggio di diverse città.