Papa Francesco respinge al mittente le accuse su Karol Wojtyla. “Certo di interpretare i sentimenti dei fedeli di tutto il mondo – ha affermato Bergoglio al Regina Caeli – rivolgo un pensiero grato alla memoria di san Giovanni Paolo II, in questi giorni oggetto di illazioni offensive e infondate”. Perché questa dura e netta presa di posizione del Papa? L’11 aprile 2023 il promotore di giustizia vaticano, Alessandro Diddi, riceve Pietro Orlandi, il fratello della 15enne scomparsa il 22 giugno 1983, e il suo avvocato Laura Sgrò. Il 9 gennaio 2023, quattro giorni dopo il funerale di Benedetto XVI, Diddi, su mandato di Francesco, aveva riaperto improvvisamente il caso Orlandi, dopo anni di insistenti richieste da parte della famiglia di Emanuela. Della vicenda ne aveva scritto anche l’ex segretario di Ratzinger, l’arcivescovo Georg Gänswein, nel suo libro di memorie.

Dopo otto ore con i pm d’Oltretevere, Pietro Orlandi lascia il Vaticano e, sempre con il suo legale, partecipa al programma Di Martedì di Giovanni Floris in onda su La7. Qui afferma: “Mi dicono che Wojtyla ogni tanto la sera usciva con due monsignori polacchi e non andava certo a benedire le case”. Scoppia, inevitabilmente, la polemica. Il primo a intervenire, il 13 aprile, è il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia, per 40 anni segretario particolare di Wojtyla, prima in Polonia e poi in Vaticano. “Negli ultimi giorni – scrive il porporato – alcune avventatissime affermazioni, ma sarebbe più esatto subito dire ignobili insinuazioni, proferite dal signor Pietro Orlandi sul conto del Pontefice san Giovanni Paolo II, in connessione all’amara e penosa vicenda della sorella Emanuela, hanno trovato eco sui social e in taluni media anzitutto italiani. È appena il caso di dire che suddette insinuazioni che si vorrebbero all’origine scaturite da inafferrabili ambienti della malavita romana, a cui viene ora assegnata una parvenza di pseudo-presentabilità, sono in realtà accuse farneticanti, false dall’inizio alla fine, irrealistiche, risibili al limite della comicità se non fossero tragiche, anzi esse stesse criminali. Un crimine gigantesco infatti è ciò che è stato fatto a Emanuela e alla sua famiglia, ma criminale è lucrare su di esso con farneticazioni incontrollabili, volte a screditare preventivamente persone e ambienti fino a prova contraria degni della stima universale”.

Il cardinale aggiunge che “va da sé che il dolore incomprimibile di una famiglia che da 40 anni non ha notizie su una propria figlia meriti tutto il rispetto, tutta la premura, tutta la vicinanza. Così come non ci si può, in coscienza, non augurare che la verità su questa angosciante vicenda finalmente emerga dal gorgo dei depistaggi, delle mitomanie e degli sciacallaggi. Come segretario particolare del Papa Giovanni Paolo II posso testimoniare, senza il timore di smentite, che fin dal primo momento il Santo Padre si è fatto carico della vicenda, ha agito e fatto agire perché essa avesse un felice esito, mai ha incoraggiato azioni di qualsiasi occultamento, sempre ha manifestato affetto, prossimità, aiuto nei modi più diversi alla famiglia di Emanuela. A questi atteggiamenti io continuo ad attenermi, auspicando correttezza da parte di tutti gli attori e sperando che l’Italia, culla universale del diritto, saprà con il suo sistema giuridico vigilare sul diritto alla buona fama di chi oggi non c’è più, ma che dall’alto veglia e intercede”.

L’indomani, il 14 aprile, don Maurizio Patriciello, il parroco anticamorra di Caivano, scrive una lettera aperta a Pietro Orlandi su Avvenire: “Io voglio la verità, qualsiasi essa sia. Le insinuazioni, no, non so che farmene. Mi ha fatto male sentirti dire di aver ascoltato che ‘Wojtyla ogni tanto la sera usciva con due monsignori polacchi’ aggiungendo, di tuo ‘che non andava certo a benedire le case’. Che uscisse di sera Giovanni Paolo II non mi meraviglia affatto. Che continui a farlo Papa Francesco, ancora di meno. Il Papa non è prigioniero in Vaticano. Se, però, non sai dove andasse, devi tacere. Il diritto alla verità non dà a nessuno – nemmeno a te – il diritto all’illazione ambigua, soprattutto quando tocchi un gigante dell’umanità, riconosciuto santo dalla Chiesa. La mia sofferenza, Pietro, non è paragonabile alla tua, ma sappi che le tue parole mi hanno fatto tanto male, e non solo a me. Non credo che questa fosse la tua intenzione. Un animo ferito come il tuo è capace di compassione, di pietà, di amore. In un animo lacerato il cinismo non trova casa. Allora? Allora, Pietro, devi andarci piano con le parole senza fondamento. Sono macigni, che una volta lanciati, possono ferire a morte anche gli innocenti. E questo sarebbe un vero fallimento. Un’ulteriore e colossale ingiustizia. Un vero e proprio boomerang”.

Patriciello ricorda che “la dichiarazione rilasciata a riguardo dal cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia, già segretario di Giovanni Paolo II, gronda tristezza, amarezza, sconcerto, dolore. No, non ti sto chiedendo di tacere quello che sai. Anche su di te incombe, come su tutti, oltre al diritto, il dovere di parlare. Ti chiedo, invece, in ginocchio, di pesare e misurare le parole. Sempre, ma soprattutto quando tocchi figure della Chiesa che hanno fatto della loro vita un dono a Dio e all’umanità. Emanuela è nostra. San Giovanni Paolo II è nostro. Abbiamo, come te, sete di verità. Perciò, Pietro, se sai dove andasse Giovanni Paolo II la sera, dillo. Apertamente. Chiaramente. Coraggiosamente. Se non lo sai, non hai nessun diritto di insinuare dubbi. Di ferirmi – e di ferirci – inutilmente e scandalosamente il cuore. Dio ti benedica, fratello carissimo”.

Poche ore dopo, L’Osservatore Romano pubblica in prima pagina un editoriale di Andrea Tornielli, direttore della Direzione editoriale del Dicastero per la comunicazione, intitolato “Accuse assurde e infamanti”. “L’accusa – scrive il giornalista – è stata lanciata da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la ragazza scomparsa nel centro di Roma in un pomeriggio di giugno del 1983. Pietro, in presenza del suo avvocato Laura Sgrò che annuiva, ha raccontato nel corso della trasmissione Di Martedì condotta su La7 in prima serata da Giovanni Floris, che Papa Wojtyla la notte usciva in compagnia di qualche monsignore per andare a cercare ragazzine. Il tutto è stato presentato come indiscrezione credibile, accompagnata da qualche sorrisino ammiccante, come se si parlasse di un segreto di Pulcinella. Prove? Nessuna. Indizi? Men che meno. Testimonianze almeno di seconda o terza mano? Neanche l’ombra. Solo anonime accuse infamanti. Parole che Pietro Orlandi ha accompagnato all’audio attribuito ad un sedicente membro della Banda della Magliana il quale asserisce – anche lui senza prove, indizi, testimonianze, riscontri o circostanze – che Giovanni Paolo II ‘pure insieme se le portava in Vaticano quelle’, intendendo Emanuela e altre ragazze: per porre fine a questa ‘schifezza’ il segretario di Stato di allora si sarebbe rivolto alla criminalità organizzata per risolvere il problema. Una follia. E non lo diciamo perché Karol Wojtyla è santo o perché è stato Papa. Anche se questo massacro mediatico intristisce e sgomenta ferendo il cuore di milioni di credenti e non credenti, la diffamazione va denunciata perché è indegno di un Paese civile trattare in questo modo qualunque persona, viva o morta, che sia chierico o laico, Papa, metalmeccanico o giovane disoccupato. È giusto che tutti rispondano degli eventuali reati, se ne hanno commessi, senza impunità alcuna o privilegi. È sacrosanto che si indaghi a 360 gradi per cercare la verità sulla scomparsa di Emanuela. Ma nessuno merita di essere diffamato in questo modo, senza neanche uno straccio di indizio, sulla base dei ‘si dice’ di qualche sconosciuto personaggio del sottobosco criminale o di qualche squallido anonimo commento propalato in diretta tv”.

Si arriva al 15 aprile quando l’avvocato Sgrò torna da Diddi. Subito dopo il faccia a faccia, Vatican News pubblica un articolo intitolato “Accuse a Wojtyla, Pietro Orlandi e l’avvocato Sgrò si rifiutano di fare nomi”. L’articolo riporta la dichiarazione del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni: “Questa mattina il promotore di giustizia, professor Alessandro Diddi, insieme al professor Gianluca Perone, promotore applicato, ha ricevuto l’avvocato Laura Sgrò, come da lei ripetutamente e pubblicamente richiesto, nell’ambito del fascicolo aperto sulla vicenda della scomparsa di Emanuela Orlandi, anche per fornire quegli elementi, relativi alla provenienza di alcune informazioni in suo possesso, attesi dopo le dichiarazioni fornite da Pietro Orlandi. L’avvocato Sgro si è avvalsa del segreto professionale”. Il legale contesta queste affermazioni e scrive, oltre che a Tornielli e Bruni, anche al prefetto del Dicastero per la comunicazione, Paolo Ruffini.

Sono quasi le 20 quando Vatican News aggiorna il suo testo: “Questo pomeriggio abbiamo ricevuto una comunicazione da parte dell’avvocato Laura Sgrò in merito a quanto riportato in questo articolo. Nella comunicazione (inviata al prefetto del Dicastero per la comunicazione, al direttore della Sala Stampa della Santa Sede e al direttore editoriale dei media vaticani) si contesta la veridicità del titolo: ‘Accuse a Wojtyla. Pietro Orlandi e l’avvocato Sgrò si rifiutano di fare i nomi’. ‘Tale affermazione – scrive l’avvocato Sgrò – non corrisponde al vero. Intendo a riguardo che sia fatta piena luce’. ‘Avendo consultato l’Ufficio del promotore di giustizia – dichiara il prefetto del Dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini – posso confermare che quanto riferito da Vatican News in merito alle dichiarazioni fatte su Papa Giovanni Paolo II, in televisione, e alla testimonianza resa dinanzi al promotore di giustizia vaticano, risponde esattamente al vero. Né Pietro Orlandi né l’avvocato Laura Sgrò hanno ritenuto di fornire al promotore nomi o elementi utili riguardo alle fonti di tali affermazioni e alla loro credibilità. Per la magistratura vaticana sarebbe stato essenziale conoscere la fonte delle voci riportate da Orlandi. Purtroppo ciò non è avvenuto. Nella sua comunicazione l’avvocato Sgrò sostiene anche che quanto da noi scritto sia una pressione su di lei tesa a indurla a violare la deontologia professionale e in particolare il segreto professionale. Anche questa affermazione non è veritiera. Vatican News si è limitato a riportare i fatti in maniera obiettiva e trasparente. La richiesta di incontrare il promotore di giustizia è stata fatta dall’avvocato Sgrò l’11 gennaio 2023. Ed è stata reiterata a più riprese a mezzo stampa nei mesi successivi l’intenzione di consegnare ‘personalmente’ documenti al promotore di giustizia. Come già detto, il promotore di giustizia non ha ricevuto alcun nome o elemento utile relativamente alle accuse rivolte a Papa Wojtyla, come correttamente affermato nel titolo e nel testo dell’articolo di Vatican News”.

Arrivano, infine, le parole di Bergoglio che bolla come “illazioni offensive e infondate” le affermazioni del fratello di Emanuela. Immediato il plauso della presidenza della Conferenza episcopale italiana che aggiunge: “Non ci possono essere mezzi termini, infatti, per definire i recenti attacchi verso san Giovanni Paolo II”. “Papa Francesco – è il commento di Pietro Orlandi – ha fatto bene a difendere Wojtyla dalle accuse formulate da Marcello Neroni attraverso un’audio reso pubblico il 9 dicembre scorso dal giornalista Alessandro Ambrosini. Le uniche accuse nei confronti di Wojtyla sono emerse da quell’audio. Per questo ho ritenuto di consegnare quell’audio al promotore di giustizia in Vaticano Alessandro Diddi affinché indagasse su questo personaggio. Non posso certo io dire se in quell’audio viene detto il vero o il falso. Lo stesso Diddi mi disse che è necessario scavare ovunque. Ma è giusto che Francesco abbia ritenuto difendere Wojtyla da quelle accuse”. Lo scontro termina, ma la scomparsa di Emanuela resta un mistero.

Twitter: @FrancescoGrana

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