Matteo Messina Denaro sta tentando di sminuire la gravità degli omicidi che ha commesso. Lo scrive il giudice per le indagini preliminari di Palermo, Alfredo Montalto, nell’ordinanza con cui ordina l’arresto di Laura Bonafede. Figlia dello storico capomafia di Campobello di Mazara, Leonardo Bonafede, l’insegnante è considerata una pedina fondamentale nella gestione della trentennale latitanza dell’ultimo boss delle stragi. Il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, l’aggiunto Paolo Guido e il pm Gianluca De Leo hanno scoperto che la donna incontrava ciclicamente Messina Denaro: l’ultima volta il 14 gennaio, due giorni prima del clamoroso arresto dei carabinieri del Ros. “Laura Bonafede era legata a Matteo Messina Denaro da un pluridecennale rapporto ed aveva, in molteplici occasioni, condiviso con lui spazi di intimità familiare, talvolta in compagnia della figlia, tanto che loro stessi si definivano una famiglia“, si legge nelle carte dell’inchiesta. Nel registro degli indagati, infatti, c’è anche il nome di Martina Gentile, la figlia avuta da Laura Bonafede e dal marito Salvatore Gentile, che sta scontando una pena all’ergastolo per due omicidi ordinati proprio da Messina Denaro.
Il boss: “Ho svolto un’indagine ex post” – Il gip Montalto ha rigettato la richiesta di arresti domiciliari della figlia di Laura Bonafede. Nell’ordinanza non risparmia aspre critiche al comportamento delle due donne. Soprattutto Bonafede, che “manifesta nei suoi scritti di essere totalmente impregnata della ‘cultura’ mafiosa, e, quel che è più grave, persino dall’intendimento di trasferire i suoi malsani ‘ideali’ persino alla nipotina Dafne, figlia di Gentile Martina, così trascurando che il suo interlocutore si è reso responsabile di innumerevoli fatti di sangue di assoluta gravità (anzi certamente tra i più gravi della storia di questa Repubblica se si pensa alle stragi di Capaci e via D’Amelio ed a quelle del successivo anno 1993)”. Quindi il giudice ricorda che Messina Denaro si è macchiato “persino dell’uccisione di innocenti bambini“. E fa i nomi di Nadia e Caterina Nencioni, di appena nove anni e di poco più di un mese di vita, rimaste vittime della strage di via dei Georgofili a Firenze il 27 maggio del 1993, quello di Giuseppe Di Matteo, rapito e ucciso quando aveva appena 12 anni “dopo una straziante prigionia in condizioni inumane”. “Senza poi dimenticare – prosegue il gip – l’uccisione di Antonella Bonomo in stato di gravidanza, cui Messina Denaro ebbe a partecipare personalmente nel luglio 1992, ancorché il predetto abbia recentemente tentato di sminuire la gravità – sic! – di tale ultimo omicidio asserendo di avere svolto ex post una ‘indagine‘, che, a suo dire, avrebbe accertato che la ragazza non era incinta“.
Il duplice omicidio di Milazzo e Bonomo – Di recente, infatti, Messina Denaro ha risposto alle domande che gli sono state poste dal gip durante un’interrogatorio di garanzia: oltre alle numerose condanne definitive, il boss di Castelvetrano è pure indagato per una tentata estorsione. Ed è durante quell’interrogatorio che ha cercato di minimizzare, dal suo punto di vista, la sua responsabilità nell’omicidio di Antonella Bonomo, 23enne di Castellammare del Golfo, assassinata nell’estate del 1992, quando era incinta di tre mesi. L’omicidio della giovane è uno dei misteri irrisolti della stagione delle stragi. La donna, infatti, era la compagna di Vincenzo Milazzo, capomafia di Alcamo che negli anni ’80 gestiva la più grossa raffineria di eroina d’Europa: in contrada Virgini produceva droga per centinaia di miliardi di lire, che veniva poi immessa sul mercato americano. Milazzo venne ucciso in modo misterioso pochi giorni prima della strage di via d’Amelio, dove il 19 luglio del 1992 saltò in aria Paolo Borsellino. Pochi giorni dopo, venne assassinata pure la sua compagna: le diedero appuntamento in un casolare in campagna, spiedandole che Milazzo voleva vederla. E invece venne strangolata da un commando composto Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Gioè e lo stesso Messina Denaro.
Il movente misterioso – All’epoca la notizia di una gravidanza della Bonomo era stata smentita da voci che circolavano nella zona. Adesso si capisce che erano voci messe in giro proprio da Cosa nostra. Il movente del duplice omicidio rimase avvolto nel mistero per anni. Poi Armando Palmeri, fidato autista di Milazzo, decise di collaborare con la giustizia raccontando che il suo capo era stato assassinato perché si era schierato contro il piano di destabilizzazione dello Stato a colpi di bombe e stragi. Un piano messo in pratica da Cosa nostra, ma ispirato da altri sistemi di potere. Quali? Palmeri parla di almeno tre riunioni alle quale partecipò il suo capo, organizzate nella primavera del 1992, poco prima della strage di Capaci. “Volevano mettere in atto una strategia di destabilizzazione dello Stato con bombe e attentati. Da quegli incontri Milazzo usciva molto turbato. Mi diceva: questi sono pazzi scatenati e che quello che volevano fare avrebbe portato alla fine di Cosa nostra e che non avrebbe portato beneficio a nessuno. Milazzo non era favorevole ma rispondeva con un ‘Ni’ a quel progetto. Se avesse detto no sarebbe stato un gran rifiuto e ci avrebbero ammazzato”, è il racconto il pentito, che solo poche settimane fa è stato trovato morto, colpito da infarto, nella sua abitazione di Alcamo. Tra le matrici dell’omicidio di Antonella Bonomo, tra l’altro, si è sempre inserita anche la parentela che la ragazza aveva con un uomo dei servizi segreti, al quale potevano essere state riferite informazioni delicate. A rintracciare quell’uomo è stata la procura di Caltanissetta: si tratta di un ex generale dei carabinieri, in servizio al Sisde e alla presidenza del consiglio, che però ha negato di aver ricevuto alcuna confidenza dalla nipote, fidanzata del capomafia.
“Non ho ordinato di uccidere Di Matteo” – La volontà di Messina Denaro di sottolineare la sua “attività investigativa” ex post, però, fa capire come il boss di Castelvetrano conosca benissimo la valenza di quel duplice omicidio, considerato anche oggi tra i segreti incoffessabili legati alle stragi. E la stessa cosa si può dire anche del rapimento e dell’uccisione del piccolo Di Matteo. Come ha raccontato Riccardo Lo Verso su livesicilia.it, infatti, durante l’interrogatorio di garanzia Messina Denaro ha cercato di minimizzare le sue resposabilità anche in questo caso. “Non ho dato l’ordine di uccidere il piccolo Giuseppe Di Matteo”, ha detto il boss, scaricando le colpe su Brusca, il boia della strage di Capaci con il quale ha sempre avuto un rapporto conflittuale. In pratica Messina Denaro intende accollarsi solo le responsabilità del rapimento. “Ti portiamo da tuo padre”, dissero i mafiosi travestiti da poliziotti a Giuseppe, prelevato in un maneggio il 23 novembre 1993. L’obiettivo era punire il padre del ragazzo, Mario Santo Di Matteo, che era tra gli esecutori della strage di Capaci e aveva deciso di collaborare con la magistratura. Il 12enne venne tenuto sotto sequestro fino all’11 gennaio del 1996, quando venne strangolato e poi sciolto nell’acido: epilogo di cui Messina Denaro sembra voler respingere le responsabilità.
L’intercettazione sugli infiltrati nella strage Borsellino – Anche la vicenda del piccolo Di Matteo nasconde un mistero legato alla stagione delle stragi. Franca Castellese, la madre del ragazzo, venne intercettata il 14 dicembre del 1993, mentre parlava col marito nei locali della Dia, poche settimane dopo il rapimento del figlio. “Qualcuno che è infiltrato nella mafia. Tu devi pensare alla strage Borsellino, a Borsellino c’è stato qualcuno infiltrato che ha preso…capire se c’e’ qualcuno della Polizia infiltrato pure nella mafia”, dice quel giorno incontrando il marito. Interrogati più volte su quell’intercettazione, i due non hanno mai chiarito la natura dei loro riferimenti. Mario Santo Di Matteo, detto “Mezzanasca”, è stato audito in vari processi. Anche a quello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio. Di recente nelle motivazioni della sentenza i giudici sono tornati sull’argomento: “Si ritiene che Di Matteo Mario Santo sia a conoscenza di altri particolari riguardanti le stragi, che questi particolari riguardano soggetti istituzionali, e che egli non abbia inteso e tuttora non intenda riferire per un timore evidentemente ancora attuale per la vita propria e dei suoi familiari”, scrive il tribunale di Caltanissetta. “È evidente – continuano i giudici – come Mario Santo Di Matteo e Francesca Castellese non riferiscano sul tema i fatti di cui sono a conoscenza e la circostanza che non lo facciano da venticinque anni, lungi dall’essere conferma di ciò che essi sostengono, prova solo la loro pervicacia nell’omissione di riferire. Tale dato non solo è innegabile ma è potenziato dal fatto che si è di fronte ad una costante negazione assoluta senza spiegazioni, tanto è vero che, a fronte delle contestazioni del pm, Mario Santo Di Matteo non risponde – sviando il discorso sugli altri argomenti di taglio emozionale legati alla deprivazione genitoriale derivante dalla scomparsa del figlio – limitandosi a negare e senza fornire alcuna ricostruzione alternativa del significato dell’intercettazione”. Un altro segreto delle stragi, uno dei tanti di cui Messina Denaro è custode.