Non è affatto una prima assoluta la sentenza del giudice del lavoro di Milano che ha stabilito l’incostituzionalità di una paga da 3,96 euro l’ora versata sulla base del famigerato Ccnl della vigilanza privata e servizi fiduciari. Una sentenza di Cassazione datata 28 ottobre 2021 ha infatti già sancito in via definitiva che i minimi salariali previsti da quel contratto, firmato da Cgil e Cisl nel 2013, sono contrari ai principi di proporzionalità e sufficienza in funzione di un’esistenza libera e dignitosa previsti dall’articolo 36 della Carta. Il problema è che le sentenze non si traducono in un azzeramento del contratto: l’esito della causa vale solo per chi la fa. Così per gli oltre 100mila lavoratori del settore continua a non cambiare nulla: l’Italia continua a non avere un salario minimo, quel contratto è scaduto da otto anni e nonostante scioperi e mobilitazioni le trattative per il rinnovo si sono interrotte a febbraio dopo che i datori hanno escluso aumenti superiori a 3 euro al mese. Da ultimo Filcams Cgil e Fisascat Cisl hanno tentato di sparigliare le carte con una class action contro una delle maggiori aziende del settore con l’obiettivo di ottenere la disapplicazione delle tabelle retributive del ccnl che pure avevano firmato.
Il contratto dei servizi fiduciari, per esplicita previsione dell’accordo del 2013, viene utilizzato non solo nel portierato, nella vigilanza e nel trasporto di valori ma pure per inquadrare commessi, impiegati, steward di eventi sportivi. Semplicemente perché così le aziende – in alcuni casi anche gli enti pubblici – risparmiano rispetto all’applicazione di altri ccnl un po’ più generosi con i lavoratori. Lo spiega molto bene la vicenda arrivata in Cassazione nel 2021, che è la stessa su cui il tribunale di Milano e poi la Corte di Appello si erano espressi nel 2016 e 2017, come già raccontato da ilfattoquotidiano.it. In quel caso il lavoratore aveva iniziato a lavorare come custode e portiere della sede di un istituto bancario con il ccnl dei servizi di pulizia industriale, a 1.243 euro lordi al mese. Poi l’appalto è stato vinto da un’altra azienda che gli ha applicato il ccnl multiservizi: 1.301 euro al mese. Ma è stato l’ultimo aumento. Perché i successivi appaltatori hanno scelto prima il Ccnl proprietari di fabbricati, tagliando il suo compenso a 1.049 euro lordi mensili, poi – appunto – quello per le imprese di vigilanza e servizi fiduciari, con conseguente crollo della paga a 715,17 euro al mese per un tempo parziale di 7,5 ore al giorno dal lunedì al venerdì.
A quel punto ha deciso di passare alle vie legali, assistito dall’avvocato Fausto Raffone. Tribunale e Corte di Appello hanno valutato palesemente incostituzionale la sua ultima retribuzione, pari a poco più di 3,5 euro netti all’ora, che risulta “di gran lunga inferiore a quanto, secondo i valori di mercato, è versato ad una collaboratrice familiare nelle aree industrializzate“. Poco importa che rispettasse i parametri “concordati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative dei lavoratori”. E gli hanno riconosciuto gli arretrati retributivi ricalcolati in base al ccnl che andrebbe applicato agli addetti alla reception delle banche. La Cassazione, sezione lavoro, con sentenza depositata il 6 dicembre 2021, ha rigettato il ricorso della società appaltatrice, la Prodest servizi fiduciari, condannandola al pagamento delle spese.
La giurisprudenza sul tema continua ad arricchirsi: anche il tribunale di Torino nel 2019 ha dato ragione a un addetto alla reception presso l’Arpa di Torino valutando la sua retribuzione “decisamente inadeguata rispetto al principio di proporzionalità e di sufficienza sancito dall’articolo 36 Cost”. Lo scorso gennaio è arrivata anche la condanna di una società a totale controllo pubblico: la Corte di Appello di Milano ha respinto il ricorso dell’azienda dei trasporti Atm e del suo subappaltatore Ivri Servizi Fiduciari contro la sentenza di primo grado in base alla quale gli stipendi dei vigilantes, pari a 950 euro lordi al mese per 173 ore di servizio su turni di 11 ore, sono sotto la soglia di povertà in un’area metropolitana del nord Italia. E dunque violano “il principio di proporzionalità e, ancor di più, quello di sufficienza a condurre un’esistenza libera e dignitosa ed a far fronte alle esigenze di vita proprie e della famiglia”. Nonostante questo, il contratto continua ad essere applicato da tutti i grandi gruppi del comparto. Che sottopagando i lavoratori continuano a vincere con facilità appalti e gare.