Alla fine di un interrogatorio da testimone durato per quasi tre ore, il patriarca Francesco Moraglia ha dovuto ammettere che qualche episodio scabroso è accaduto nella chiesa veneziana. “Alcune catechiste avevano segnalato dei comportamenti non conformi nei confronti di adolescenti…”. Messo alle strette da uno dei difensori, l’avvocato Giovanni Trombini di Bologna, il vescovo ha spiegato: “Convocai il sacerdote in questione che mi confermò che era vero… i ragazzini si spogliavano. Prima mangiavano, poi si toglievano i vestiti. Ma non c’erano state molestie, mi fu spiegato poi che si poteva trattare solo di un caso di adescamento. Per questo il sacerdote venne allontanato, è ancora prete, ma è stato sospeso per cinque anni, è stato mandato a riflettere e non potrà avere contatti con i minorenni quando riprenderà il proprio servizio”. Conseguenze penali? “Informammo i genitori, ma ci dissero tutti che volevano la segretezza assoluta”.
L’episodio emerge da una deposizione che ha riguardato presunti episodi di pedofilia e sospetti di abusi sessuali in seminario, veleni e maledizioni, accuse infamanti e vendette curiali, interessi economici e perfino donazioni immobiliari dei fedeli… Francesco Moraglia, nell’inconsueta veste di testimone in un processo penale, ha risposto alle domande del pubblico ministero Daniela Moroni e degli avvocati nel dibattimento che da anni sta sconvolgendo la chiesa veneziana. Tutto è nato dai volantini firmati “fra.tino” affissi per alcuni mesi nel 2019 nell’area centrale del capoluogo lagunare, non lontano da San Marco. Contenevano accuse pesantissime nei confronti del clero, da corruzioni ad abusi sessuali, e puntavano il dito contro il patriarca che avrebbe chiuso un occhio, impedendo che si facesse luce su tali episodi.
Il processo del “corvo di Venezia” ha due imputati e un convitato di pietra. I primi due, accusati di diffamazione, sono Enrico Di Giorgi, 77 anni, ex manager milanese alla Montedison di Marghera con casa a Venezia, e Gianluca Buoninconti, 56 anni, tecnico informatico di Milano. Secondo la Procura sarebbero loro gli autori degli scritti, con un mandante rimasto però nell’ombra. Il grande assente, che però è già stato sentito come testimone, è don Massimiliano D’Antiga, il sacerdote che aveva rifiutato di essere trasferito dalla parrocchia di San Zulian, contrapponendosi al Patriarca al punto da essere poi ridotto allo stato laicale per decisione del Papa. Il caso D’Antiga, quando esplose nel dicembre 2018, scatenò la ribellione dei parrocchiani fedeli al sacerdote che inscenarono perfino manifestazioni sotto le finestre della Curia, con cartelloni del genere: “Giù le mani da D’Antiga… Don Massimiliano non si tocca”. Il Patriarca ha spiegato perché D’Antiga fu cacciato, ma ha negato che i volantini contenessero la men che minima verità. Salvo l’episodio accaduto nella parrocchia del Carmine, che sarebbe stato scoperto proprio mentre continuava il diluvio di volantini attaccati ai muri di Venezia di notte. Nei volantini era indicato solo il nome del sacerdote.
“Nel 2018, riordinando le parrocchie del centro storico, ho deciso di trasferire don D’Antiga a San Marco. Quando lo comunicai ai sacerdoti riuniti, don Massimialino davanti a tutti cominciò ad uscire dai toni. Tanto che altri sacerdoti gli chiesero: ‘Ma vuoi disobbedire al Patriarca?’. Gli spiegai che sarebbe stato spostato solo di cento metri da dove esercitava a San Zulian, che avrebbe potuto continuare a dire la messa in quella parrocchia, confessare, seguire un gruppo di soggetti fragili”. Fu l’inizio di una guerra. “Don D’Antiga telefonò al mio segretario e gli disse: ‘Quel bastardo del patriarca lo rovinerò, farò in modo che sia tolto da Patriarca’. In un’occasione, maledicendo, ha benedetto con il segno della croce, compiendo un atto gravissimo che mi confermò quanto seppi da una famiglia che mi disse come in passato la loro figlia era stata maledetta da don D’Antiga durante l’incontro di un gruppo giovanile. Per questo quei genitori mi chiesero di impartire loro la mia benedizione”.
L’ingegnere De Giorgi è stato inguaiato da riconoscimenti fotografici. Proprio lui aveva accompagnato D’Antiga a un incontro con Moraglia. “Si è presentato come un amico, una persona di fiducia di don Massimiliano. – ha spiegato il prelato – In quell’occasione D’Antiga mi disse personalmente: ‘Ho molte conoscenze a Roma, farò in modo che lei non sia più Patriarca di Venezia’. Per tre volte chiesi all’amico che gli sedeva vicino se avesse niente da dire. E lui mi rispose per tre volte: ‘Sono imbarazzato’. Ma non si dissociò”. A quel punto il Pm ha chiesto al vescovo: “Riconosce quell’uomo?”. Moraglia, indicando l’imputato: “E’ in quest’aula, è quel signore con i capelli grigi vicino agli avvocati”.
Non ci fu esclusione di colpi nella battaglia che culminò con D’Antiga ridotto allo stato laicale. “Feci due ‘precetti’ nei suoi confronti. – ha continuato il Patriarca – Una prima volta per verificare se fossero vere le voci di utilizzare beni della parrocchia come bed&breakfast. Un’altra per vietargli di ricevere donazioni personali di immobili da parte dei parrocchiani”. Insomma, una sfilza di contestazioni e sospetti. Fu in quel periodo, dal febbraio all’agosto 2019, che comparvero i volantini. Gli avvocati hanno chiesto, punto per punto, spiegazioni a Moraglia. Sapeva di abusi sessuali? “So solo che sono stati infangati, in modo generale, la chiesa di Venezia e un gruppo di persone”. Nessun episodio? “Nel 2016 seppi dal rettore del seminario che egli era venuto a conoscenza da alcuni seminaristi che un altro seminarista sarebbe stato oggetto di attenzioni da parte di un sacerdote. Quei due seminaristi io li avevo incontrati solo perché in Seminario c’era un clima teso, ma per questioni teologico-pastorali legate al confronto tra progressisti e tradizionalisti. Non parlai assolutamente con loro di altri temi. So che quel seminarista fu poi dimesso dal seminario per questioni diverse”.
Il vescovo ha anche negato di esser stato informato dell’esistenza di un dossier pronto ad essere utilizzato contro la chiesa veneziana. “Un giorno vennero da me due signore, chiedendomi di dare a don D’Antiga un’altra parrocchia analoga a quella di San Zulian. Una di loro mi disse: ‘Sa, monsignore, c’è un faldone alto così sulle nefandezze della Chiesa veneziana. Sa i giornalisti sono degli squali… che non attendono altro’. Io le ho risposto: ‘Se c’è un faldone, signora, con rilevanze penali, vada in Procura a denunciare. Allora cambiò il tono del discorso”.
Le accuse dei volantini? “Mi hanno provocato un dolore grande. Preti e seminaristi mi chiedevano cosa fosse successo, hanno creato un grande scandalo nel popolo di Dio, anche fuori diocesi”. Inadempienze? “Assolutamente no, io ho sempre fatto sempre del mio meglio a servizio della verità”. Ha taciuti fatti di pedofilia di cui era a conoscenza? “Lo rigetto completamente”. È vero che sacerdoti si confessavano l’un l’altro i peccati? “E’ l’accusa più infamante, chi lo fa viene scomunicato”. È vero che fece pressioni per diventare cardinale? “È falso”. È vero che aveva deciso di querelare chi denunciava episodi di pedofilia? “E’ totalmente falso, la diocesi ha una commissione di laici che si occupa di questi problemi”. Perché ha presentato querela? “Tacere avrebbe significato che abbiamo paura. Quei volantini sono una ferita grande non solo per me, ma anche per i sacerdoti, i seminaristi, i laici”.
Giustizia & Impunità
Venezia, al processo sul “corvo” la deposizione del patriarca Moraglia. “Molestie a minori? Mi segnalarono un caso di adescamento”
Alla fine di un interrogatorio da testimone durato per quasi tre ore, il patriarca Francesco Moraglia ha dovuto ammettere che qualche episodio scabroso è accaduto nella chiesa veneziana. “Alcune catechiste avevano segnalato dei comportamenti non conformi nei confronti di adolescenti…”. Messo alle strette da uno dei difensori, l’avvocato Giovanni Trombini di Bologna, il vescovo ha spiegato: “Convocai il sacerdote in questione che mi confermò che era vero… i ragazzini si spogliavano. Prima mangiavano, poi si toglievano i vestiti. Ma non c’erano state molestie, mi fu spiegato poi che si poteva trattare solo di un caso di adescamento. Per questo il sacerdote venne allontanato, è ancora prete, ma è stato sospeso per cinque anni, è stato mandato a riflettere e non potrà avere contatti con i minorenni quando riprenderà il proprio servizio”. Conseguenze penali? “Informammo i genitori, ma ci dissero tutti che volevano la segretezza assoluta”.
L’episodio emerge da una deposizione che ha riguardato presunti episodi di pedofilia e sospetti di abusi sessuali in seminario, veleni e maledizioni, accuse infamanti e vendette curiali, interessi economici e perfino donazioni immobiliari dei fedeli… Francesco Moraglia, nell’inconsueta veste di testimone in un processo penale, ha risposto alle domande del pubblico ministero Daniela Moroni e degli avvocati nel dibattimento che da anni sta sconvolgendo la chiesa veneziana. Tutto è nato dai volantini firmati “fra.tino” affissi per alcuni mesi nel 2019 nell’area centrale del capoluogo lagunare, non lontano da San Marco. Contenevano accuse pesantissime nei confronti del clero, da corruzioni ad abusi sessuali, e puntavano il dito contro il patriarca che avrebbe chiuso un occhio, impedendo che si facesse luce su tali episodi.
Il processo del “corvo di Venezia” ha due imputati e un convitato di pietra. I primi due, accusati di diffamazione, sono Enrico Di Giorgi, 77 anni, ex manager milanese alla Montedison di Marghera con casa a Venezia, e Gianluca Buoninconti, 56 anni, tecnico informatico di Milano. Secondo la Procura sarebbero loro gli autori degli scritti, con un mandante rimasto però nell’ombra. Il grande assente, che però è già stato sentito come testimone, è don Massimiliano D’Antiga, il sacerdote che aveva rifiutato di essere trasferito dalla parrocchia di San Zulian, contrapponendosi al Patriarca al punto da essere poi ridotto allo stato laicale per decisione del Papa. Il caso D’Antiga, quando esplose nel dicembre 2018, scatenò la ribellione dei parrocchiani fedeli al sacerdote che inscenarono perfino manifestazioni sotto le finestre della Curia, con cartelloni del genere: “Giù le mani da D’Antiga… Don Massimiliano non si tocca”. Il Patriarca ha spiegato perché D’Antiga fu cacciato, ma ha negato che i volantini contenessero la men che minima verità. Salvo l’episodio accaduto nella parrocchia del Carmine, che sarebbe stato scoperto proprio mentre continuava il diluvio di volantini attaccati ai muri di Venezia di notte. Nei volantini era indicato solo il nome del sacerdote.
“Nel 2018, riordinando le parrocchie del centro storico, ho deciso di trasferire don D’Antiga a San Marco. Quando lo comunicai ai sacerdoti riuniti, don Massimialino davanti a tutti cominciò ad uscire dai toni. Tanto che altri sacerdoti gli chiesero: ‘Ma vuoi disobbedire al Patriarca?’. Gli spiegai che sarebbe stato spostato solo di cento metri da dove esercitava a San Zulian, che avrebbe potuto continuare a dire la messa in quella parrocchia, confessare, seguire un gruppo di soggetti fragili”. Fu l’inizio di una guerra. “Don D’Antiga telefonò al mio segretario e gli disse: ‘Quel bastardo del patriarca lo rovinerò, farò in modo che sia tolto da Patriarca’. In un’occasione, maledicendo, ha benedetto con il segno della croce, compiendo un atto gravissimo che mi confermò quanto seppi da una famiglia che mi disse come in passato la loro figlia era stata maledetta da don D’Antiga durante l’incontro di un gruppo giovanile. Per questo quei genitori mi chiesero di impartire loro la mia benedizione”.
L’ingegnere De Giorgi è stato inguaiato da riconoscimenti fotografici. Proprio lui aveva accompagnato D’Antiga a un incontro con Moraglia. “Si è presentato come un amico, una persona di fiducia di don Massimiliano. – ha spiegato il prelato – In quell’occasione D’Antiga mi disse personalmente: ‘Ho molte conoscenze a Roma, farò in modo che lei non sia più Patriarca di Venezia’. Per tre volte chiesi all’amico che gli sedeva vicino se avesse niente da dire. E lui mi rispose per tre volte: ‘Sono imbarazzato’. Ma non si dissociò”. A quel punto il Pm ha chiesto al vescovo: “Riconosce quell’uomo?”. Moraglia, indicando l’imputato: “E’ in quest’aula, è quel signore con i capelli grigi vicino agli avvocati”.
Non ci fu esclusione di colpi nella battaglia che culminò con D’Antiga ridotto allo stato laicale. “Feci due ‘precetti’ nei suoi confronti. – ha continuato il Patriarca – Una prima volta per verificare se fossero vere le voci di utilizzare beni della parrocchia come bed&breakfast. Un’altra per vietargli di ricevere donazioni personali di immobili da parte dei parrocchiani”. Insomma, una sfilza di contestazioni e sospetti. Fu in quel periodo, dal febbraio all’agosto 2019, che comparvero i volantini. Gli avvocati hanno chiesto, punto per punto, spiegazioni a Moraglia. Sapeva di abusi sessuali? “So solo che sono stati infangati, in modo generale, la chiesa di Venezia e un gruppo di persone”. Nessun episodio? “Nel 2016 seppi dal rettore del seminario che egli era venuto a conoscenza da alcuni seminaristi che un altro seminarista sarebbe stato oggetto di attenzioni da parte di un sacerdote. Quei due seminaristi io li avevo incontrati solo perché in Seminario c’era un clima teso, ma per questioni teologico-pastorali legate al confronto tra progressisti e tradizionalisti. Non parlai assolutamente con loro di altri temi. So che quel seminarista fu poi dimesso dal seminario per questioni diverse”.
Il vescovo ha anche negato di esser stato informato dell’esistenza di un dossier pronto ad essere utilizzato contro la chiesa veneziana. “Un giorno vennero da me due signore, chiedendomi di dare a don D’Antiga un’altra parrocchia analoga a quella di San Zulian. Una di loro mi disse: ‘Sa, monsignore, c’è un faldone alto così sulle nefandezze della Chiesa veneziana. Sa i giornalisti sono degli squali… che non attendono altro’. Io le ho risposto: ‘Se c’è un faldone, signora, con rilevanze penali, vada in Procura a denunciare. Allora cambiò il tono del discorso”.
Le accuse dei volantini? “Mi hanno provocato un dolore grande. Preti e seminaristi mi chiedevano cosa fosse successo, hanno creato un grande scandalo nel popolo di Dio, anche fuori diocesi”. Inadempienze? “Assolutamente no, io ho sempre fatto sempre del mio meglio a servizio della verità”. Ha taciuti fatti di pedofilia di cui era a conoscenza? “Lo rigetto completamente”. È vero che sacerdoti si confessavano l’un l’altro i peccati? “E’ l’accusa più infamante, chi lo fa viene scomunicato”. È vero che fece pressioni per diventare cardinale? “È falso”. È vero che aveva deciso di querelare chi denunciava episodi di pedofilia? “E’ totalmente falso, la diocesi ha una commissione di laici che si occupa di questi problemi”. Perché ha presentato querela? “Tacere avrebbe significato che abbiamo paura. Quei volantini sono una ferita grande non solo per me, ma anche per i sacerdoti, i seminaristi, i laici”.
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Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "È quello che abbiamo chiesto. Ma capire è una parola inutile. Io non capisco niente e chi ci capisce è bravo. Si chiede, si fa e si combatte per ottenere rispetto. Capire no, mi spiace. Magari, capire qualcosa mi piacerebbe". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono se la giornalista potrà avere altre visite da parte dell'ambasciata.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - Nella telefonata di ieri "avrei preferito notizie più rassicuranti da parte sua e invece le domande che ho fatto... glielo ho chiesto io, non me lo stava dicendo, le ho chiesto se ha un cuscino pulito su cui appoggiare la testa e mi ha detto 'mamma, non ho un cuscino, né un materasso'". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "No, dopo ieri nessun'altra telefonata". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, ai cronisti dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni. "Le telefonate non sono frequenti. E' stata la seconda dopo la prima in cui mi ha detto che era stata arrestata, poi c'è stato l'incontro con l'ambasciatrice, ieri è stato proprio un regalo inaspettato. Arrivano così inaspettate" le telefonate "quando vogliono loro. Quindi io sono lì solo ad aspettare".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Questo incontro mi ha fatto bene, mi ha aiutato, avevo bisogno di guardarsi negli occhi, anche tra mamme, su cose di questo genere...". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, lasciando palazzo Chigi dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Cerca di essere un soldato Cecilia, cerco di esserlo io. Però le condizioni carcerarie per una ragazza di 29 anni, che non ha compiuto nulla, devono essere quelle che non la possano segnare per tutta la vita". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
"Poi se pensiamo a giorni o altro... io rispetto i tempi che mi diranno, ma le condizioni devono essere quelle di non segnare una ragazza che è solo un'eccellenza italiana, non lo sono solo il vino e i cotechini". Le hanno detto qualcosa sui tempi? "Qualche cosa - ha risposto -, ma cose molto generiche, su cui adesso certo attendo notizie più precise".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "La prima cosa sono condizioni più dignitose di vita carceraria e poi decisioni importanti e di forza del nostro Paese per ragionare sul rientro in Italia, di cui io non piango, non frigno e non chiedo tempi, perché sono realtà molto particolari". Lo ha detto Elisabetta Vernoni, mamma di Cecilia Sala, dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Adesso, assolutamente, le condizioni carcerarie di mia figlia". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono quali siano le sua maggiori preoccupazioni. "Lì non esistono le celle singole, esistono le celle di detenzione per i detenuti comuni e poi le celle di punizione, diciamo, e lei è in una di queste evidentemente: se uno dorme per terra, fa pensare che sia così...".