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Abolizione del permesso speciale, ecco perché chi ne ha diritto non potrà comunque essere espulso. E intaserà i tribunali

Da oggi in Senato si discute della conversione in legge del cosiddetto decreto Cutro (dl 20/2023) sull’immigrazione e, con tutta probabilità, dell’abolizione della protezione speciale, una delle tre forme di tutela previste nel nostro Paese insieme all’asilo politico e alla protezione sussidiaria. La premier Giorgia Meloni ha ribadito la volontà di “eliminare” l’istituto. Da capire se a emendare il decreto sarà ora un testo inedito da presentare a Palazzo Madama o lo stesso già depositato venerdì scorso in commissione Affari costituzionali, il sub-emendamento della maggioranza che abroga il riferimento agli obblighi internazionali e costituzionali in materia. “Mi pare questo il peggioramento più evidente rispetto al decreto partorito lo scorso 10 marzo”, commenta Livio Neri, avvocato e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Che invita a non farsi illusioni: “Gli obblighi sanciti dalla Costituzione e dalla CEDU rimangono, e se viene meno il percorso della protezione speciale sarà l’autorità giudiziaria a riconoscere gli stessi diritti, come già accaduto in passato”. Ma con un’aggravante: “Senza lo strumento idoneo, le persone che non potremo comunque espellere non avranno uno status sufficientemente definito, e questo non può certo essere un vantaggio per il Paese”.

La protezione speciale è stata istituita nel 2018 dal primo governo Conte. Con i decreti sicurezza voluti dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini era stata abolita la protezione umanitaria, una protezione nazionale, complementare a quelle internazionali (asilo e sussidiaria), che con diverse declinazioni compare in molti altri Paesi Ue. Al suo posto nasceva la protezione speciale, quella che nel 2020 il secondo governo Conte, a guida Pd-M5s, riformerà consentendo la conversione in permesso per lavoro. Ma soprattutto introducendo per la prima volta in una forma di protezione un rimando esplicito al diritto a tutelare la propria vita privata o familiare previsto dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Rimando che l’amministrazione avrebbe dovuto obbligatoriamente tenere in conto, valutando le domande attraverso una serie di indici di integrazione, dai legami personali alla durata del soggiorno, dal lavoro alla formazione e non solo. Come espressa chiaramente nel sub-emendamento della maggioranza a firma Gasparri (FI), Pirovano (Lega) e Lisei (FdI), la volontà del governo è proprio quella di eliminare questo rimando. “Ma non significa certo abrogare la Costituzione o la CEDU, come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva ricordato in merito ai decreti sicurezza di Salvini, ribadendo che anche sopprimendo la norma i vincoli rimangono”, ragiona Neri.

“La stragrande maggioranza degli aspiranti alla protezione speciale sono ex richiedenti asilo o persone che non hanno potuto rinnovare il permesso per lavoro, magari entrare coi decreti flussi”, spiega. “Negli ultimi due anni la protezione speciale è stata lo strumento per regolarizzare chi è qui da anni, ha un radicamento e ha già lavorato o lavora più o meno stabilmente. E infatti l’integrazione lavorativa resta il principale parametro nella valutazione delle domande, oltre alla formazione, a un’abitazione autonoma, tra l’altro”. Tutto questo ha poco a che fare con gli sbarchi: i principali titolari di protezione speciale sono infatti albanesi e sudamericani, a dimostrazione del fatto che lo strumento intercetta principalmente le diaspore più numerose e radicate. Inoltre, vista l’intenzione annunciata dal governo e ribadita nello stesso decreto di voler aumentare le quote dei decreti flussi per ingressi di lavoratori stranieri, Neri domanda: “Quelle che richiedono la protezione speciale sono persone per cui abbiamo già investito in accoglienza, corsi di lingua, tirocini professionalizzanti. Li conosciamo uno a uno, sono qui da 6 o 7 anni, hanno una storia dal punto di vista dell’ordine pubblico che è possibile valutare in piena trasparenza. Sono persone in età lavorativa, che sono diventate irregolari o rischiano di diventarlo dopo anni di regolarità: perché lo Stato vuole privarsi della possibilità di valutare la positività della loro presenza?”.

Allo stesso tempo, però, non ci si illuda che l’abolizione della protezione speciale permetterà di espellere o rimpatriare queste persone. “Perché il diritto a tutelare la propria vita privata e quella familiare non può essere cancellato”, aggiunge Neri. Che avverte: “Si tornerà a fare le cause che si facevano 20 anni fa, per vedere riconosciuto il diritto all’asilo sancito nel terzo comma dell’articolo 10 della Costituzione. Così come si faranno cause perché si traggano le conseguenze dell’impossibilità di espellere una persona in virtù dell’articolo 8 della CEDU, quello che appunto tutela la vita privata e familiare”. Insomma, quello che oggi può essere valutato attraverso una domanda alle questure finirà per intasare i tribunali. Del resto, la Corte di Cassazione ha più volte e in modo costante ribadito che l’articolo 10 della Costituzione sulla condizione dello straniero e il diritto d’asilo possa ritenersi attuato proprio in virtù della protezione internazionale (asilo e sussidiaria) e della protezione umanitaria (dal 2018 speciale). Questo significa che in Italia si può sempre agire per l’invocazione diretta dell’articolo 10 davanti al giudice. Un percorso poi superato con la via amministrativa alla richiesta di protezione umanitaria e speciale, ma che oggi rischia di ripartire, rinvii alla Corte costituzionale e alla Corte europea compresi. E meno male che il Pnrr ci impone di ridurre il contenzioso, compreso quello che riguarda il riconoscimento della protezione internazionale.

Ma cosa accadrà una volta che il giudice avrà riconosciuto l’impossibilità di espellerle queste persone e il loro diritto a rimanere in Italia? La palla passerà di nuovo all’amministrazione, che non potrà esimersi dal determinare quale status attribuire loro. “Ma se l’amministrazione non adotterà una decisione consona, a intervenire sarà ancora una volta l’autorità giudiziaria”, chiarisce Neri. Insomma, la questione non cambia ma a venir meno è la soluzione. E l’alternativa non è altrettanto efficace: “Il nostro sistema prevede un generico permesso per asilo”, spiega Neri ipotizzando una soluzione che l’autorità giudiziaria potrebbe adottare. “Ma dal punto di vista dell’interesse pubblico è un peggioramento, perché significa dare a persone che non possiamo espellere uno status meno definito, che non fissa in modo altrettanto chiaro diritti e doveri del titolare”. Un vicolo cieco nel quale l’abolizione della protezione non potrà non condurci: “Perché la norma manomessa è l’articolo 19 del Testo Unico sull’immigrazione. E quell’elenco di parametri che si vogliono far saltare vengono dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La stessa che i tribunali non potranno che applicare”.