Erano due i candidati alla poltrona di sindaco di Melito, comune nel Napoletano dalle “tormentate” vicende politiche-camorristiche, che stano alle indagini dell’Antimafia hanno potuto contare sull’appoggio dei criminali organizzati: Nunzio Marrone e successivamente Luciano Mottola sono i candidati che in due diversi momenti hanno potuto contare sul bacino offerto dalla camorra. I voti controllati dal clan Amato-Pagano in alcune zone, come nel rione popolare le Palazzine 219, che sono stati conquistati con la forza o comprati in cambio di denaro, promesse di posti di lavoro e della “disponibilità a soddisfare interessi o esigenze del clan” una volta eletti. Ed è in questo clima, in un territorio che nel corso degli anni aveva già espresso un sindaco poi finito in carcere che si svolte le elezioni amministrative del 2021 nel comune a nord del capoluogo campano in cui vivono circa 38mila persone. Elezioni che sono finite nel mirino del pm Giuliano Caputo e che hanno portato a 18 arresti tra cu il sindaco Luciano Mottola. L’esponente di Fratelli d’Italia aveva presentato denunce per le pressioni esercitate dalla camorra, ma una volta uscito dai giochi il principale candidato si è alleato, stando alla Dda di Napoli, “con le medesime persone”.

Il padre del candidato sindaco e l’esponente del clan ucciso – Tra gli indagati c’è Vincenzo Marrone, per il quale il giudice per le indagini preliminari Isabella Iaselli ha disposto la custodia in carcere, padre di Nunzio Marrone, candidato sindaco alle elezioni del 3 e 4 ottobre 2021. Per gli inquirenti, guidati dalla procuratrice facenti funzione Rosa Volpe, Marrone senior è stato il principale organizzatore e sostenitore della coalizione elettorale collegata al figlio: avrebbe accettato la promessa di procurare alla coalizione e allo stesso candidato i voti degli appartenenti al clan, dei soggetti ad essi legati e dei residenti del rione popolare destinatari di pressioni e intimidazioni. In cambio, soldi e la disponibilità a soddisfare interessi o esigenze dell’associazione camorristica. Lo stesso clan Amato-Pagano avrebbe individuato dei candidati alla carica di consigliere comunale di proprio riferimento, tra i quali Antonio Cuozzo, poi effettivamente eletto nella coalizione di centrodestra e passato da Forza Italia a Fratelli d’Italia (anche per lui il gip ha disposto la custodia cautelare in carcere). L’accordo, secondo la Dda, sarebbe stato stipulato con Vincenzo Nappi, storico esponente del clan Amato-Pagano, ucciso in un agguato di stampo camorristico il 23 gennaio scorso a Melito.

Il ballottaggio vinto con circa 400 voti di differenza – Lo stesso meccanismo di voto di scambio sarebbe poi avvenuto per il turno di ballottaggio, dal quale Marrone è rimasto escluso, e che ha visto contrapposti Luciano Mottola e Dominique Pellecchia, candidata espressa dal Pd e dal M5s. La politica il 22 luglio 2021 si presenta ai carabinieri di Marano di Napoli per denunciare la decisione di non voler più effettuare la campagna elettorale da parte di alcuni candidati senza fornire alcuna motivazione di tale decisione e spiega che esponenti della coalizione di Marrone “stavano sottraendo candidati alle altre coalizioni” indicando anche quella di Mottola, poi eletto grazie a una differenza di circa 400 voti. Preferenze che per gli inquirenti sono proprio riferibili agli elettori del Rione 219. E così quelli che erano stati avversari politici contrapposti ora erano diventati alleati. Il giorno dopo dai militari si presenta anche Mottola “ma si limita a fornire notizie circa pressioni che avrebbero ricevuto alcuni candidati o persone che aspiravano a candidarsi nelle liste della sua coalizione”. Due denunce, secondo il gip, con finalità diverse: perché poi i due ex “nemici” Marrone e Mottola uniscono le forze in vista del ballottaggio.

Il ruolo di Rostan – Ad aiutare Mottola, Emilio Rostan, imprenditore locale e padre dell’ex deputata Michela Rostan (del tutto estranea all’indagine), che si sarebbe prodigato per ottenere il pacchetto di voti controllato dal clan Amato-Pagano veicolandolo su Mottola, del quale era il principale supporter. Rostan (“sta la guerra a Metilo … la camorra sta portando a Nunzio Marrone uffìcialmente però già abbiamo preso le contromisure”) avrebbe inoltre promesso ad Antonio Cuozzo, in cambio del sostegno elettorale, un posto di lavoro in un’azienda di Frattamaggiore. Il ballottaggio si è concluso con la vittoria di Mottola su Pellecchia per appena 387 voti (6.738 preferenze per Mottola, sostenuto da Fratelli d’Italia e liste civiche, e 6.351 per Pellecchia, sostenuta da Pd, M5S e Freemelito. Esemplare l’intercettazione in cui uno egli indagati a proposito del ballottaggio dice: “Siamo andati a prendere la gente da dentro le case … ehh ehh a qualcuno l’abbiamo obbligato proprio a uscire …. “.

Inoltre Rostan, stando alle indagini della Dia, avrebbe comprato con 2mila euro il voto di un consigliere comunale a favore della lista “Grande Napoli” alle elezioni dei consiglieri della Città metropolitana di Napoli. Rostan avrebbe consegnato 2mila euro a Massimiliano Grande, consigliere comunale di opposizione a Melito, capogruppo di “Davvero Ecologia e diritti”, al fine di indurlo a votare la lista “Grande Napoli” nelle elezioni di secondo grado per il Consiglio metropolitano di Napoli, voto al quale sono chiamati i soli sindaci e consiglieri comunali di Napoli e provincia. Dagli accertamenti bancari è poi emerso che Rostan, che ha nella sua disponibilità due conti correnti, ha emesso un assegno bancario di 1.000 euro il 21 febbraio 2022, ritenuto dagli investigatori collegato al termine ultimo entro il quale si dovevano depositare le liste per l’elezione del Consiglio della Città metropolitana, e un secondo assegno, sempre di 1.000 euro, il 16 marzo 2022, tre giorni dopo le elezioni, il che “consente di affermare che l’accordo è stato rispettato”, si legge nell’ordinanza. Il giudice Isabella Iaselli, presidente aggiunto sezione gip del Tribunale di Napoli, ha disposto nei confronti di Rostan la custodia cautelare in carcere e nei confronti di Grande gli arresti domiciliari.

La candidata minacciata e costretta a fare campagna elettorale per gli avversari – C’è poi l’episodio che ha visto protagonista “una candidata al consiglio comunale costretta – come sottolineano gli investigatori della Dia – con gravi minacce, quali l’allontanamento dall’abitazione o la chiusura dell’esercizio commerciale, a svolgere campagna elettorale non per sé ma per un candidato dell’opposta coalizione gradito al clan“. Alla donna, che aveva rifiutato di candidarsi con la coalizione sostenuta dal clan, viene detto che se avesse svolto la propria campagna elettorale o se avesse avuto più di 10 voti ne sarebbero derivate “conseguenze” per lei: l’allontanamento dalla casa all’interno del Rione 219 e la chiusura del bar da lei gestito. E così la vittima è stato di fatto costretta a svolgere campagna elettorale non per sé ma per il candidato della coalizione opposta. L’uomo, anche lui arrestato, le aveva consegnato il materiale di propaganda elettorale perché lei potesse distribuirlo.

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