È incostituzionale non riconoscere le attenuanti, anche se sarà discrezione del giudice valutare caso per caso se infliggere l’ergastolo. Nella camera di consiglio odierna la Corte costituzionale, che si doveva esprimere sul caso di Alfredo Cospito sollevato dalla Corte d’assise di Torino doveva valutare l’articolo del codice penale che per il reato di strage politica impedisce sconti di pena nei casi di recidiva aggravata. “In continuità con i suoi numerosi e conformi precedenti sulla disposizione censurata, la Corte – si legge nella nota dell’ufficio stampa – ha ritenuto tale norma costituzionalmente illegittima nella parte in cui vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., nei casi in cui il reato è punito con la pena edittale dell’ergastolo”. Secondo la Corte, il carattere fisso della pena dell’ergastolo esige che il giudice possa operare l’ordinario bilanciamento tra aggravanti e attenuanti previsto dai primi tre commi dello stesso articolo 69. Conseguentemente, il giudice dovrà valutare, caso per caso, se applicare la pena dell’ergastolo oppure, laddove reputi prevalenti le attenuanti, una diversa pena detentiva.
A questo punto l’anarchico, condannato in via definitiva per aver gambizzato un dirigente dell’Ansaldo Nucleare e in attesa della definizione del giudizio per l’attentato alla Scuola allievi dei carabinieri di Fossano per la quale è accusato del reato di strage politica, potrebbe non rischiare più l’ergastolo ma una pena compresa tra i 20 e i 24 anni. Cospito è imputato per due ordigni ad alto potenziale piazzati dentro cassonetti per i rifiuti vicini a uno degli ingressi della Scuola, il 2 giugno del 2006 ed è stato condannato a 20 anni. Ma la Cassazione aveva riqualificato il reato come strage politica, punita con l’ergastolo, imponendo ai magistrati di dover rideterminare la pena. Sono stati proprio i magistrati piemontesi a investire la Corte costituzionale. A Fossano non ci furono né morti né feriti, ma solo danni. Per questo, secondo la Corte d’appello di Torino, si potrebbe riconoscere l’attenuante dei fatti di lieve entità, che ridurrebbe la pena di un terzo. Nel caso di Cospito, condannato con la sua compagna Anna Beniamino per quell’attentato, c’era però un ostacolo insormontabile perché dichiarato recidivo reiterato e l’articolo 69 del codice penale impediva fino a oggi che in un caso come il suo si potesse applicare lo sconto di pena. Di qui la richiesta alla Consulta di pronunciarsi proprio su quella norma, che secondo i magistrati sarebbe contraria al principio di proporzionalità della pena e alla sua finalità rieducativa.
“In precedenti sentenze di questa Corte la pena fissa è stata dichiarata indiziata di incostituzionalità perché non consente di parametrare la sanzione all’offesa concretamente commessa” aveva ricordato nell’udienza pubblica della Consulta l’avvocato di Cospito, Flavio Rossi Albertini, che aveva messo in evidenza la “singolarità” della vicenda che riguarda il suo assistito, che si vedrebbe “transitare la sanzione da 15 anni di reclusione alla pena fissa dell’ergastolo” se i giudici costituzionali rispondessero con un rigetto. Di tutt’altro avviso l’Avvocatura dello Stato che in rappresentanza della presidenza del Consiglio dei ministri aveva chiesto alla Corte di dichiarare inammissibile o infondata la questione posta dai magistrati di Torino. I giudici d’appello, secondo gli avvocati dello Stato Paola Zerman e Ettore Figliolia, sono incorsi nell’equivoco di ritenere di lieve entità la strage politica se non ci sono morti, ma è un’ipotesi “fuori dalla norma”. Non solo si aprirebbe un “vulnus” nel sistema dei reati di pericolo, con il risultato che si potrebbe applicare l’attenuante per lieve entità del fatto anche a reati come l’associazione mafiosa. La linea intransigente dell’Avvocatura è anche motivata dal fatto che la strage politica, punendo chi vuole attentare alla sicurezza dello Stato, è “tra i reati più gravi in una democrazia” e l’ideologia, che sta dietro a ogni anarchico, è “che la violenza possa vincere”. Terminata l’udienza pubblica i giudici si sono riuniti in camera di consiglio, poche ore dopo la decisione.