La verifica è tanto banale che viene da chiedersi in quale considerazione i governanti tengano i loro elettori. Eppure si continua a ripetere che la protezione speciale, una delle tre forme di tutela dello straniero previste in Italia, è un’anomalia tutta italiana. “E’ una protezione ulteriore rispetto a quello che accade nel resto d’Europa”, ha detto lo stesso premier Giorgia Meloni, ribadendo di volerla abolire. E in effetti, a differenza dell’asilo politico e della protezione sussidiaria, non si tratta di una protezione internazionale ma di un istituto nazionale e complementare. Ma non per questo è una stravaganza del Belpaese. Anzi, i dati dell’Agenzia europea per il diritto d’asilo dicono che sono ben 17 gli altri Paesi Ue che rilasciano forme di protezione umanitaria, quella che dal 2018 in Italia si chiama protezione speciale. I Paesi sono addirittura 18 nei dati Eurostat, dalla Germania alla Spagna, dall’Irlanda alla Svezia. Grande assente, almeno sembra, è la Francia. “Ma anche il Testo unico francese sugli stranieri ha una norma che riconosce il diritto alla tutela della propria vita privata, chiamata appunto “diritto di soggiorno per motivi di vita privata e familiare”, spiega Chiara Favilli, docente di diritto dell’Unione europea all’Università di Firenze. Insomma, dipende da cosa vogliamo considerare “protezione umanitaria”, che è poi lo status che il singolo Paese decide di riconoscere alle persone che non hanno i requisiti per la protezione internazionale (asilo e sussidiaria), ma che per varie ragioni ritenute degne di tutela non possono essere allontanate dal territorio. Allo stesso tempo, il fatto che lo strumento sia regolato internamente non significa che l’Unione se ne disinteressi, come dimostrano diverse direttive Ue ma anche molte sentenze della Corte di giustizia europea.
Nell’Unione europea i permessi umanitari, compresa la protezione speciale italiana, rappresentano il 15% del totale dei permessi rilasciati. I dati Eurostat mettono al primo posto la Germania con 30.020 permessi umanitari rilasciati nel 2022. Al secondo la Spagna con 20.925 permessi. Al terzo l’Italia, che ne conta 10.865, con un aumento del 50% rispetto al 2021. Ma fino al 2018, quando i decreti sicurezza del primo governo Conte hanno abolito la protezione umanitaria per sostituirla con quella speciale, in Italia si accoglievano ogni anno fino a 19 mila domande (2017 e 2018), crollate a 1.385 nel 2019. Nel 2020, poi, il secondo governo Conte a guida Pd-M5s decide di implementare lo strumento inserendo espliciti richiami alla normativa europea che riconosce il diritto alla tutela della propria vita privata o familiare, consentendo a chi può provare un radicamento sul territorio di farlo valere, a partire dall’integrazione lavorativa. “Il diritto dell’Unione non disciplina la protezione umanitaria, quello rimane un compito dei singoli Stati e da questo dipendono le tante differenze “, spiega Favilli, che invita a prendere con le pinze i dati europei sulla protezione umanitaria perché potrebbero non considerare tutti gli strumenti messi in campo dagli Stati membri. “La Germania, ad esempio, ha anche una categoria di stranieri che definisce espressamente “tollerati”, persone la protezione umanitaria non possono ottenerla ma che non possono essere espulse”, spiega. Quanto alla Spagna, per citare chi è arrivato a riconoscere fino a 45 mila permessi umanitari in un anno, riconosce esplicitamente il “radicamento” delle persone sul territorio. Una svolta che in Italia è arrivata nel 2020 con l’esplicito riferimento alla normativa CEDU sulla tutela della vita privata e familiare.
Ma il fatto che ogni Paese faccia di testa sua non significa che si tratti di una questione tutta interna, né che i singoli governi possano fare e disfare come meglio credono. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione dell’abolizione della protezione umanitaria attuata dai decreti sicurezza del 2018, volle ricordare come la cancellazione della norma non avrebbe fatto venir meno gli obblighi internazionali, come la nostra Costituzione ricorda al secondo comma dell’articolo 10 sulla condizione dello straniero. La stessa Unione europea, poi, pur non avendo ancora adottato una normativa comune sulla protezione umanitaria, la prevede espressamente in molte sue direttive. “La direttiva 32 del 2013 sulle procedure di revoca e riconoscimento della protezione internazionale – spiega la docente – afferma che gli Stati possono applicarla anche “nei procedimenti di esame di domande intese a ottenere qualsiasi forma di protezione” diversa da quella internazionale”. Non solo: “La direttiva 115 del 2018 sui rimpatri, inoltre, prevede esplicitamente che gli Stati possano astenersi dall’allontanare le persone per motivi umanitari o caritatevoli”.
E’ sempre il diritto dell’Unione a prevedere cause di esclusione dalla protezione internazionale. Ma questo non vuol dire che tutte le persone escluse si possano espellere, come una giurisprudenza ormai decennale, compresa quella della Corte di giustizia europea, conferma. “Ma il diritto dell’Unione non disciplina lo status giuridico della persona non allontanabile. Quello lo fanno i singoli Stati”, ribadisce Favilli. E cita diverse sentenze della Corte di giustizia, non esattamente nella direzione che sembra intenzionato a prendere il nostro governo. “Una recente sentenza del 2022 fa esplicito riferimento alla possibilità di riconoscere la tutela della vita privata e familiare come limite all’espulsione“, spiega. “Inoltre, in un’altra decisione del 2019 la Corte ricorda che ci sono soggetti non allontanabili, affermando però che anche a queste persone va riconosciuto un minimo di diritti, compresi quelli materiali”. Un impegno al quale gli Stati possono adempiere attraverso forme di protezione nazionali: “E’ sempre la Corte ad affermare che gli Stati possono riconoscere, ai sensi della propria Costituzione, forme di asilo diverse dalla protezione internazionale, a patto che siano compatibili con il diritto dell’Unione”. Insomma, aggiunge, “nessuna anomalia italiana”. Quello che manca ancora è una “veste giuridica comune e armonizzata dello status della protezione umanitaria, ma alla luce di direttive e sentenze non è escluso che in futuro si vada in questa direzione”. Di più: “cancellare di fatto la protezione speciale sopprimendo il richiamo agli obblighi internazionali significa solo che gli stessi obblighi si invocheranno in via giurisdizionale moltiplicando in modo spropositato le cause in tribunale”.