Alfredo Cospito interrompe ufficialmente lo sciopero della fame contro il 41-bis. All’indomani della decisione favorevole della Consulta sul suo caso (che in ogni caso non incide sul regime carcerario) l’esponente della Federazione anarchica informale ha deciso di ricominciare ad alimentarsi dopo quasi sei mesi. La scelta è stata ufficializzata da Cospito stesso attraverso un modello prestampato a disposizione dei detenuti, in cui ha scritto: “Dichiaro di interrompere lo sciopero della fame”, avvisando così i vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, del carcere di Opera e del Tribunale di Sorveglianza di Milano. Già nei giorni scorsi era emerso che il detenuto, ancora ricoverato nel reparto di medicina penitenziaria del San Paolo di Milano, aveva ripreso ad assumere alcuni alimenti, in particolare delle bustine di parmigiano, oltre agli integratori. Inoltre, a quanto si è appreso, ha già mangiato nei giorni scorsi della pastina col brodo e ha chiesto anche di poter ingerire cibi più elaborati, che però, dato il lungo digiuno, non può ancora assumere. La ripresa dell’alimentazione, che deve essere graduale, viene tenuta sotto controllo dai medici. Anche perché, viene chiarito da fonti ospedaliere e giudiziarie, l’anarchico era dimagrito quasi cinquanta chili, col rischio di sviluppare seri problemi cardiaci e neurologici. Per ora resta ricoverato sotto osservazione al San Paolo: quando le sue condizioni fisiche miglioreranno, sarà trasferito nuovamente in carcere.
Martedì la Consulta aveva stabilito che è incostituzionale non riconoscere le attenuanti per il reato di strage politica con recidiva aggravata per cui l’anarchico è a processo. “In continuità con i suoi numerosi e conformi precedenti sulla disposizione censurata, la Corte ha ritenuto tale norma costituzionalmente illegittima nella parte in cui vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, del codice penale nei casi in cui il reato è punito con la pena edittale dell’ergastolo”, si legge nella nota dell’ufficio stampa. Secondo la Corte, il carattere fisso della pena dell’ergastolo esige che il giudice possa operare l’ordinario bilanciamento tra aggravanti e attenuanti previsto dai primi tre commi dello stesso articolo 69. Conseguentemente, il giudice dovrà valutare, caso per caso, se applicare la pena dell’ergastolo oppure, laddove reputi prevalenti le attenuanti, una diversa pena detentiva.