In "Meloni segreta" (Ponte alle Grazie), il giornalista Andrea Palladino ricostruisce con documenti inediti l'ascesa politica della presidente del consiglio. Dal passato movimentato di molti dei sui attuali fedelissimi alle dichiarazioni infuocate dell'epoca pre-Palazzo Chigi. Come quelle sulla "sostituzione etnica" (2017) e su George Soros finanziatore del "movimento organizzato" che starebbe dietro l'immigrazione (2019).
L’immigrazione in Italia si chiama “sostituzione etnica“. A dirlo non è (solo) il ministro Lollobrigida, ma Giorgia Meloni, in un comizio del 29 gennaio 2017, cinque anni prima di diventare presidente del consiglio. Quella a cui assistiamo è “un’invasione pianificata e voluta”, scandiva l’allora presidente di Fratelli d’Italia, a favore del “grande capitale che usa quegli immigrati per rivedere al ribasso i diritti dei lavoratori italiani Si chiama sostituzione etnica! E noi non la consentiremo!”.
Il racconto di Palladino, già collaboratore del Fatto, si apre con i racconto della “Roma in Black” dei primi anni Novanta: “È un ottobre romano di trent’anni fa. Un’ottantina di ragazzi si avvicina all’ingresso dell’ambasciata di Israele. Toni duri, per una manifestazione non autorizzata. Slogan a favore dei palestinesi, gli animi si accendono e lo scontro con gli agenti del reparto mobile è inevitabile. Federico Mollicone, 19 anni, esponente di punta del Fronte della gioventù romano prende una latta di vernice rossa e la scaglia contro i poliziotti. In pochi secondi è circondato e fermato”.
È quanto emerge in una informativa della Digos inserita negli atti declassificati dal governo Renzi depositati nell’Archivio di Stato. Oggi Mollicone è un deputato fedelissimo di Giorgia Meloni. E ancora: “Durante la visita al cimitero americano di Nettuno di George Bush il 29 maggio 1989 un gruppo nutrito dell’organizzazione giovanile missina, guidato dall’allora segretario nazionale Gianni Alemanno, organizzò una contro-manifestazione, per ricordare i combattenti della Repubblica sociale di Salò. Vennero arrestati in 13, tra questi Fabio Rampelli, oltre allo stesso Alemanno”. Le manifestazioni dell’estrema destra contro Israele sono tante in quegli anni. La Digos registra la presenza di diversi big dell’attuale partito di governo: Isabella Rauti, figlia di Pino e moglie di Alemanno, oggi senatrice e sottosegretaria alla Difesa. Andrea Augello, oggi senatore e vicepresidente della Giunta per l’immunità parlamentare. Marco Marsilio, oggi governatore della Regione Abruzzo.
Con molti di loro si troverà a far politica la giovane Meloni, da quando nel 1992, appena 15enne, varcherà per la prima volta la soglia della sezione del Fronte della Gioventù del suo quartiere, la Garbatella. Fino a pochi mesi prima, la sezione era guidata da Stefano Schiavi. Una nota del Dipartimento centrale della polizia di prevenzione del Ministero dell’interno, riporta Palladino, “associa Stefano Schiavi e Claudio Marsilio all’organizzazione Meridiano Zero”. È un gruppo di estrema destra nato a Roma nel settembre 1991, creato da Rainaldo Graziani, il figlio di Clemente, uno dei fondatori di Ordine nuovo. Cioè dell’organizzazione capeggiata da Pino Rauti protagonista – in base ormai a numerose sentenze definitive – della stagione delle stragi e della strategia della tensione. Schiavi aveva lasciato il Fronte della gioventù per aderire a Meridiano Zero, insieme ad altri militanti dalla sezione della Garbatella.
La nuova sigla dura pochissimo. Quando nel 1992 entra in vigore la legge Mancino, annota la polizia, “Meridiano Zero si determina all’autoscioglimento, onde non incorrere nelle sanzioni predisposte dalla nuova normativa contro il razzismo”. Negli anni successivi molti ex militanti torneranno “a una visibile attività politica sotto la direzione dell’On. Rauti», aggiungono gli analisti dell’antiterrorismo.
Rampelli è anche il fondatore dei Gabbiani, il gruppo in cui Giorgia Meloni si fa le ossa. Ne fanno parte anche Marsilio e Federico Mollicone, figlio di Nazzareno, già membro del Centro Studi Ordine nuovo. Il gruppo è di ispirazione rautiana, conferma nel libro Silvano Moffa, un altro protagonista della “nuova destra” di quei tempi, che diventerà primo presidente postfascista della Provincia di Roma e oggi lontano dalla politica attiva.
Cose del passato? Ardori di gioventù ormai stemperati dalla lunga permanenza nei palazzi istituzionali? Piuttosto una continua tensione fra lotta e governo, fra antichi ideali e moderno pragmatismo, documenta Palladino. La destra, così occhiuta nello sfogliare l'”album di famiglia” della sinistra, pare non avere alcuna intenzione di fare i conti con il proprio. Né con il nazifascismo della Seconda guerra mondiale – vedi Ignazio La Russa sull’attentato Via Rasella – e ancor meno con l’estremismo di destra degli anni Settanta, col suo filo nero teso fino ai giorni nostri. Un filo fatto di legami politici, familiari, di passaggi di testimone fra militanze più o meno estreme.
L’inchiesta su Giorgia segreta approfondisce questo filo, che lega l’impresentabile passato eversivo e stragista all’attuale postfascismo di governo. Così troviamo Meloni, allora presidente di Azione Giovani, in una conferenza stampa a Catania insieme a Luigi Ciavardini, terrorista dei Nar poi condannato per la strage di Bologna, in una fase in cui – siamo nel 2004 – la destra già di governo cercava di spazzare via dall’album di famiglia almeno quel macigno infamante. E siamo vicinissimi ai giorni nostri quando è ospitata a Roma da Domenico Gramazio, altro nume tutelare della destra romana, in rapporti calorosi con una altro nome storico del terrorismo nero, Massimo Carminati, er cecato, come ha provato l’indagine Mondo di Mezzo. È il 4 novembre 2022, Meloni è fresca di nomina a Palazzo Chigi, e un entusiasta Gramazio le consegna, per l’autobiografia Io sono Giorgia, il premio “Caravella Tricolore”, creato negli anni Cinquanta dall’ex repubblichino Giulio Caradonna. Un altro premiato è Nazzareno Mollicone, l’ex di Ordine nuovo oggi dirigente del sindacato di destra Ugl. “Sono a casa, mi sento a casa, bando alle formalità”, chiarisce orgogliosa la neopresidente del Consiglio.