Scuola

Gli studenti del Berchet di Milano in una lettera dopo “la fuga”: “La nostra fragilità va riconosciuta”

“Non vogliamo passare per quelli che cercano riduzioni dei programmi didattici, come si è fatto strumentalmente intendere sui media, né per quelli che non vogliono impegnarsi”. E ancora: “Ciò su cui cerchiamo di porre l’attenzione è solo il necessario riconoscimento di una dignità della fragilità. La fragilità può caratterizzare un percorso di studio o un tratto di esso, come un ordinario passaggio di vita”: sono le dichiarazioni a cuore aperto degli studenti del liceo Berchet di Milano racchiuse in una lunga lettera scritta dai rappresentanti dell’istituto e pubblicata sul Corriere della Sera.

La lettera aperta firmata dai rappresentanti degli studenti del Berchet è stata sottoscritta da altre 24 scuole in tutta Italia, da nord a sud, e si propone di spronare gli studenti italiani “a far emergere un problema che non è di per sé un male, né un’azione che dimostra debolezza, ma, al contrario, un atto di forte coraggio”. “Ribadiamo – concludono i ragazzi – che noi studenti non accetteremo più atteggiamenti oppressivi e dispotici. Una scuola autoritaria prepara ad una società autoritaria, e noi non siamo disposti a tollerare né l’una, né, tantomeno, l’altra”.

Le parole arrivano dopo la notizia dell’abbandono della scuola da parte di 56 allievi, in poco più di sei mesi, a causa della pressione psicologica causata da un sistema scolastico che, aggravato dal Covid e dalla didattica a distanza, ha acuito negli ultimi anni lo stress e il disagio degli adolescenti. Una condizione che gli studenti hanno voluto spiegare scrivendo la lettera anche “per solidarietà verso tutti quei ragazzi di altre scuole che sentono di essere in difficoltà.”

Il Berchet, ha spiegato, “ci ha educato alla complessità e al pensiero critico, strumenti indispensabili per diventare cittadini liberi e consapevoli – scrivono i ragazzi – tanto da consentirci la possibilità di contestare l’ambiente stesso in cui stiamo svolgendo il nostro percorso formativo. Infatti, la possibilità di analizzare e condividere con buona parte dei nostri docenti e con il nostro dirigente i disagi e i malesseri scolastici, al di là dell’evidenza pubblica che ne è conseguita, ci sta consentendo di costruire insieme il cambiamento dall’interno”.

Gli studenti confidano anche che le aperture notate negli ultimi tempi all’interno del sistema scolastico, che si è dimostrato disposto ad accogliere le loro istanze, non rimangano episodi legati al contesto attuale di criticità. La “relazione empatica” tra studenti e professori, secondo i ragazzi, deve diventare “una norma”. Il desiderio non è quello di “scontrarci ma confrontarci”, dichiarano.

Il dirigente scolastico del Berchet aveva spiegato così la fuga dall’istituto dettata dal malessere psicologico accusato dagli studenti: “Ci sono delle fragilità che stiamo già tentando di affrontare, per la maggior parte provocate dagli anni di Covid, dal periodo trascorso a casa e dalla didattica a distanza”. Ma per i ragazzi la pandemia aveva la sola responsabilità di aver fatto emergere criticità che erano in realtà già diffuse. E dinanzi alle “fragilità” citata del preside, hanno dichiarato: “Non vogliamo studiare meno ma vogliamo studiare meglio, in un ambiente sereno e fertile in cui lo studente non si senta alienato ma riconosciuto nelle proprie specificità. Abbiamo ragione di credere che il nostro disagio non sia una condizione isolata”.