Mattioli e Scalia. Un binomio che ha fatto epoca. Li si associa giustamente al “sole che ride”. E magari aggiungiamoci anche Gianni Silvestrini, e qualcun altro. Quindi i guru della transizione ecologica, in un’epoca come gli anni Ottanta in cui si parlava di abbandono del nucleare, ma non ancora di abbandono altresì dei combustibili fossili.
Ma se le loro idee e le loro battaglie erano all’avanguardia in quell’epoca (anche se al primo posto nella scala delle priorità avrebbe dovuto esserci il risparmio energetico), oggi esse sanno terribilmente di antico. Questa storia del passaggio puro e semplice alle energie rinnovabili senza un minimo di paletti su dove le stesse debbano essere allocate e senza un minimo di approfondimento circa cosa siano davvero le energie rinnovabili è inaccettabile per una persona che abbia davvero a cuore le sorti della nostra Terra. I nostri amati tecnici si lamentano solo del fatto che siamo in ritardo nella transizione ecologica, ma non si pongono minimamente il problema – come sottolinea l’Ispra – che la transizione ecologica che l’Italia sta attuando è un Far West, in cui i privati fanno il bello e il cattivo tempo, riempiendo la terra fertile di pannelli solari. Stato non pervenuto.
Nessuna regola volta ad indicare le priorità nell’installazione (tipo gli undicimila capannoni industriali abbandonati del Veneto, o le cave abbandonate, o i siti industriali dismessi). È questa la transizione ecologica che vogliono i nostri tecnici verdi? Mi ricordano Lester Brown che voleva trasformare l’intero deserto del Sahara in una immensa centrale elettrica (lo sentii con le mie orecchie e rimasi allibito). Per non parlare del colonialismo innescato dall’apertura di miniere nel mondo per soddisfare le nostre esigenze di energia pulita. Dal Congo alla Cina al Cile.
Una recente inchiesta del Corriere della Sera afferma: “Il loro sfruttamento sta causando gravi danni ambientali, soprattutto nei Paesi di estrazione. Lontano dall’Occidente che ha fatto di queste materie la chiave della transizione verde e più in generale del suo sviluppo tecnologico.” Vivaddio che qualcuno se ne accorga, dopo che un fondamentale saggio di Guillaume Pitron aveva denunciato i guasti di questo nuovo colonialismo.
Ma perché mi sono dilungato in questa pappardella? Perché Mattioli e Scalia, insieme a Silvestrini e Vincenzo Naso, hanno inviato a Giuseppe Conte e Elly Schlein una lettera aperta in cui chiedono un serio impegno nel passaggio dalle energie fossili all’energia verde. Ma se la lettera dei nostri quattro tecnici denuncia colpevoli mancanze (e non voglio neppure accennare al discorso a me caro del volere la botte piena e la moglie ubriaca), la risposta di Conte invece mi fa davvero – permettetemi – incazzare, laddove egli afferma “i temi ambientali sono entrati stabilmente nell’agenda politica e si sono tradotti in numerose iniziative concrete.” Chissà a cosa fa riferimento l’avvocato pentastellato. Forse all’espulsione dal partito della senatrice Nugnes, che aveva proposto un disegno di legge per un immediato stop al consumo di suolo? O forse al piacere fatto all’Ance di riempire i muri dei condomini di polistirolo? Oppure fa riferimento al suo ex ministro Toninelli che bocciò lo stop alle linee di AV, suggerito dalla sua commissione Ponti, affermando che costava troppo tornare indietro? Oppure all’avallo nel governo Draghi alla nuova linea sempre AV Salerno Reggio Calabria che devasterà l’entroterra calabro e costerà alle nostre tasche un bagno di sangue?
Sarei davvero curioso di conoscere questo strenuo impegno a difesa dell’ambiente dei Cinquestelle. Ma dato che la mia richiesta resterà inevasa, non mi resta che disperarmi. Sì, proprio disperarmi come Luca Mercalli per l’assenza dal dibattito politico – ma anche dalle richieste di presunti verdi – di qualsiasi anche solo accenno alla necessità di tutelare con azioni concrete quello che resta del nostro ex Belpaese.