Non tutto ciò che accade, per il fatto che accade e dunque possiede la forza di accadere, è buono o, in ultima istanza, giustificabile. Forse, per il semplice fatto che il mondo storico è prassi tipicamente umana e non creazione divina: gli errori e gli orrori della storia sono lì a ricordarcelo in ogni momento.
Ebbene, nella Prefazione ai Lineamenti del Diritto, il più grande filosofo della modernità afferma, in apparente contrasto, che ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale. Ma che cosa intendeva veramente Hegel? Ora, per la sua filosofia il reale non è il semplicemente esistente o attuale. In ossequio al suo metodo dialettico, il reale dell’esistente è il suo nucleo razionale non ancora pienamente realizzato, mescolato al flusso degli accadimenti, e che esige di realizzarsi pienamente, come un bozzolo di divenire crisalide e poi farfalla. Detto altrimenti, ciò solo che dell’esistente è corrispondente al proprio concetto, nelle grammatiche hegeliane, assurge alla condizione di reale.
Adesso proviamo ad applicare quest’ordine di argomentazione alla green economy – o sviluppo sostenibile che dir si voglia – così comprenderemo anche meglio l’assunto. Per Hegel quella configurazione sarebbe un mero esistente e non ancora un reale, dunque un razionale, per una ragione ben più profonda dell’essere attualmente in fase di transizione. Piuttosto perché non ancora adeguato e dunque corrispondente al proprio concetto. La green economy, infatti, parte da una esigenza effettivamente reale, dunque razionale, ovvero pianificare l’esodo dall’odierno letale modello di sviluppo capitalistico; ma fornendo una risposta inadeguata a quella genuina istanza. In particolare, utilizzando la questione ambientale come solo l’ultima occasione di profitto. Promuovendo l’ennesima “distruzione creatrice” di beni e di cose per fare spazio ad altri beni da smerciare, quelle che sono state appellate efficacemente da taluni “le fonti rinnovabili del profitto”. Ciò che non viene minimamente intaccato è il meccanismo irriflesso di crescita illimitata in un ecosistema che ostinatamente continua ad essere finito.
Permanendo all’interno dell’orizzonte concettuale hegeliano, la transizione ecologica non potrebbe rivendicare per sé lo statuto di reale. E non perché non stia avvenendo sotto i nostri occhi con un ritmo sin troppo accelerato; piuttosto perché quella teoria filosofica non considererebbe tale svolgimento conforme al proprio concetto, ovvero di un movimento di superamento reale dell’attuale mortifero modello di sviluppo. Quello a cui si assiste sgomenti è solo un’allegoria di cambiamento fatta vivere, per ora, nel solo immaginario dell’uomo prevalentemente occidentale e contraddetta spudoratamente nella pratica. Per dirla ancora con Hegel, un esistente che volesse assurgere al rango di reale, avendone le potenzialità come in questo caso, dovrebbe concretamente realizzarsi e non con una impostura farlo credere.
Probabile che dietro la tempesta perfetta dei vari ambiti di crisi che da ultimo sta minando la stessa convivenza umana nel quadrante occidentale del mondo vi sia questa sfasatura tra un esistente solo fantasmatico e un reale svuotato di sostanza.