Mentre il governo discute di una fantomatica “sostituzione etnica“ e lancia boutade su maxi detrazioni per le famiglie con figli, dall’Istat arriva l’avvertimento che oltre una famiglia su tre – il 35,1% – nel 2022 ha dichiarato di aver visto peggiorare la propria situazione economica rispetto all’anno precedente. È un livello mai raggiunto prima, segnala l’istituto di statistica: nel precedente rapporto annuale Bes (benessere equo e sostenibile) la quota era del 30,6%. L’aumento, nei quattro anni a cavallo della pandemia, è stato continuo e importante: nel 2019 solo un nucleo su quattro si percepiva come impoverito. L’indicatore è dunque peggiorato di 10 punti percentuali, come ha rilevato Alessandra Tinto della Direzione centrale Istat per l’analisi e la valorizzazione nell’area delle statistiche sociali e demografiche. “Si inverte inoltre la tendenza di progressiva crescita della visione ottimistica del futuro e di decrescita del pessimismo che si era mantenuta anche nei due anni di pandemia”.
In aumento – ma in questo caso il dato si ferma al 2021 – anche la quota di persone che dichiarano di arrivare a fine mese con grande difficoltà, che passa dall’8,2% nel 2019 al 9,1% nel 2021. Il reddito lordo disponibile delle famiglie nel 2022 è salito, ma l’inflazione ha fatto crollare il potere d’acquisto e “il forte aumento della spesa per consumi finali ha rafforzato il trend di discesa della propensione al risparmio, che è scesa a livelli inferiori rispetto al periodo pre-pandemico”. L’indice di disuguaglianza del reddito netto – aggiornato solo al 2020 – è lievemente aumentato (5,8 contro 5,7 del 2019). Senza le misure di sostegno introdotte con la pandemia (trasferimenti emergenziali e reddito di cittadinanza) si sarebbe attestato a 6,9. Il rischio di povertà, la cui stima è ferma a sua volta al 2020, resta sostanzialmente stabile al 20,1% come l’indicatore di sovraccarico del costo dell’abitazione che rappresenta un peso difficilmente sostenibile per il 7,2% della popolazione. Le nuove stime sulla povertà assoluta nel 2022 arriveranno quest’anno solo a fine ottobre, a causa dei cambiamenti nell’indagine sulle spese delle famiglie e della revisione della metodologia.
Linda Laura Sabbadini, direttrice Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica Istat, ha commentato che “facciamo i conti con una fase caratterizzata dalla sovrapposizione di quattro crisi: la pandemia, la rivoluzione tecnologica, la crisi climatica, e quella energetica data dall’invasione dell’Ucraina. Sulla base di queste crisi non potevamo aspettarci una situazione positiva”. Per quanto riguarda il lavoro, “troviamo una serie di segnali positivi perché hanno il segno più, ma attenzione perché siamo sprofondati, ultimi nel contesto europeo e non lo eravamo”. Nello specifico, il distacco con gli altri Paesi riguarda sia “l’occupazione femminile, sia quella maschile. Quello che era un problema che avevamo sull’occupazione femminile oggi lo abbiamo su tutti e due i fronti”. Inoltre nel 2022 i lavoratori a termine (dipendenti a tempo determinato e collaboratori) sono saliti del 4,6% (a 3,3 milioni, +146mila). L’aumento riguarda quasi esclusivamente gli occupati con lavoro a termine da meno di cinque anni (+5,3%) e solo marginalmente quanti lo svolgono da cinque anni e più (+1,3%).
Va male anche sul fronte della salute: l’eccesso di mortalità connesso alla diffusione della pandemia da Covid-19 ha comportato nel 2020 una riduzione della speranza di vita alla nascita di oltre un anno di vita (82,1 anni rispetto agli 83,2 del 2019), solo parzialmente recuperata nel 2021 (82,5 anni) e nel 2022 (82,6). L’analisi territoriale – si legge nel Rapporto – mette in evidenza come nessuna regione sia tornata ai livelli di vita media attesa del 2019. Complessivamente, le variazioni nella speranza di vita registrate tra il 2020 e il 2022 modificano molto poco la geografia della vita media attesa, consolidando le disuguaglianze territoriali che vedono la Campania con la più bassa speranza di vita alla nascita (80,9 anni), quasi tre anni in meno rispetto a Trento (84,0 anni).
In questo quadro il grado di fiducia espresso dai cittadini nei confronti delle istituzioni politiche e giudiziarie (invariato tra il 2021 e il 2022) resta ampiamente al di sotto della sufficienza. Su una scala da 0 a 10, il voto è 3,3 per i partiti politici, che ricevono punteggi insufficienti da quasi otto cittadini su 10; 4,5 e 4,8 sono i voti medi ricevuti dal Parlamento e dal sistema giudiziario, che ottengono punteggi di fiducia insufficienti da oltre la metà delle persone di 14 anni e più (rispettivamente 59% e 52,8%).