Giusy Buscemi era una ragazzina che sognava in grande. Immagina un futuro lontano da Menfi, 11mila abitanti in provincia di Agrigento, e la sua strada l’ha trovata quasi per caso. Credeva che sarebbe diventata un medico, invece una sfilata estiva e un incontro inatteso hanno fatto fare una sterzata inaspettata alla sua vita. Oggi ha 30 anni compiuti da pochi giorni, è mamma di tre figli e ha tra le dita una carriera in grande ascesa: è protagonista della settima stagione di Un passo dal cielo – in onda il giovedì sera su Rai1 – ed è stata scelta come interprete della nuova serie di Canale 5 tratta dai gialli di Cristina Cassar Scalia (un progetto di Palomar, la casa di produzione de Il Commissario Montalbano, in onda nel 2024). “E pensare che ho scoperto di amare la recitazione solo dopo aver cominciato a fare questo mestiere”, racconta a FqMagazine in questa intervista tra lavoro, famiglia, sogni e fede.
Lei in un’intervista ha definito il suo lavoro di attrice “una vocazione”. Quando è arrivata?
Parlo con molti miei colleghi e scopro che per quasi tutti era un sogno già da bambini. Per me è stato un pensiero adulto: la chiamata è arrivata in maniera strana, poi ho scoperto di amare questo mestiere solo quando ho iniziato a farlo seriamente, dopo Miss Italia.
La prima persona che intuì in lei l’ombra di un talento nascosto?
Fioretta Mari. Durante una delle sfilate per le selezioni del concorso, in Sicilia. Per me era il divertimento dell’estate, nulla di più. Lei, che era in giuria, mi disse: “Vai avanti con forza: non vincerai alcun titolo ma qualcuno di noterà. Intanto studia dizione”.
E lei che fece?
Convinsi i miei genitori, che mi assecondarono in questa follia: una volta a settimana si facevano tre ore e mezzo per accompagnarmi a Catania a studiare dizione.
Il caso vuole che proprio a Catania girerà la sua prossima serie: sarà il vicequestore Vanina Guarrasi, nata dalla strepitosa penna della Cassar Scalia.
Un progetto molto bello e importante, di cui per ora non posso dire proprio nulla.
Torniamo alla sua famiglia, allora.
Una famiglia solida, silenziosamente presente. Mamma non ha mai lavorato per crescere me e mio fratello, si è data a noi totalmente. Papà, impiegato, ha fatto grandi sacrifici per mantenerci. Mi hanno amato e mi amano molto.
Cosa sognava da ragazzina?
Durante il liceo scientifico pensavo di fare medicina, ma non credo che quello sarebbe stato il mio percorso. Cambiavo spesso idea anche perché non mi sono sentita aiutata e sostenuta dalla scuola: il sistema scolastico spesso non tira fuori la unicità di ciascuno, tende più a uniformare che a spronarti per farti capire in che cosa sei speciale e che cosa puoi dare a te stesso e alla società.
Lei è cresciuta a Menfi, 11mila abitanti a sud ovest della Sicilia. La provincia era un limite o una comfort zone?
Mentre ci vivevo, mi stava stretta. Il mio pensiero fisso era: voglio fare qualcosa di grande ma per riuscirci devo andare altrove. Dopo la vittoria di Miss Italia, nel 2012, fu naturale trasferirsi a Roma: ci vivo ormai da molti anni ma non c’è nulla che baratterei per stare in una dimensione più piccola. Ho poi capito che la provincia fa la differenza: se oggi ho raggiunto delle cose, lo devo anche all’essere cresciuta in un posto piccolo che mi ha spinto a sognare in grande. Per questo faccio in modo che i miei figli frequentino spesso il mio paese.
Ha sognato così in grande che è la protagonista di una delle serie di punta di Rai1, Un passo dal cielo. Prima di lei gli interpreti principali sono stati Terence Hill e Daniele Liotti.
Quando ho saputo che mi era stato assegnato il ruolo, la sensazione dominate è stata la preoccupazione. Poi ho capito che era un’occasione grande e mi sono detta: “Giusy, datti da fare”. Si trattava di dare il massimo e provare a suggerire un punto di vista femminile.
Si è fatta consigliare dai suoi predecessori?
Mi sono molto fatta consigliare dai registi Laszlo Barbo ed Enrico Ianniello, che è anche co-protagonista con me. Con Daniele Liotti siamo amici nella vita e l’ho sentito anche prima della messa in onda.
La preoccupazione è sparita?
Un po’ alla volta sì. Soprattutto quando ho capito di essere riuscita a dare qualcosa di mio al personaggio di Manuela. Devo dire che girare tra le Dolomiti aiuta molto: quegli scenari mistici e riposanti sono un plus fondamentale sia per il pubblico che per noi attori.
Per altro l’ecologia e l’ambiente sono uno dei temi chiave di questa settima stagione di Un passo dal cielo. Quanto è ecologista da zero a Greta Thunberg?
(ride) Sono stata ospite da Francesco Gabbani a Ci vuole un fiore e mi sono fatta esame di coscienza. “Quanto insegno ai miei figli rispetto ai temi dell’ambiente?”. Ho capito che tante cose dovrei correggerle io stessa e mi pare che, in generale, sia in atto una chiamata importante nel cercare di migliorarsi e cambiare le cose. Diamo sempre la colpa agli altri ma noi per primi dovremmo attuare dei comportamenti virtuosi.
A proposito dei suoi figli – Caterina, Pietro, Elia – tutti e tre hanno come secondo nome Maria. Perché?
È un modo per ringraziare la Madonna, di cui io e mio marito (il regista Jan Maria Michelini) siamo devoti. Un ringraziamento profondo. È faticoso ma molto divertente essere genitori, capire i talenti dei figli e verso cosa sono portati.
Che famiglia siete?
Aperta al dialogo, alla conoscenza di se stessi e agli altri. Adottiamo il perdono quotidiano, che è un esercizio non sempre semplice da attuare. Si litiga, si discute ma la differenza la fa il saper amare e perdonare.
A proposito di famiglie: che impressione le ha fatto lo stop al riconoscimento dei figli delle famiglie arcobaleno?
È un tema molto complesso, non mi va di dare una risposta banale.
Lei parla spesso del suo cammino di fede e di come vive la spiritualità. In un ambiente effimero come quello della tv, ha vissuto dei pregiudizi per questo?
Pregiudizi no, al massimo ho sentito l’eco di qualche cliché. Vivo la fede nel rispetto delle altre e degli altri e se anche leggessi del pregiudizio negli occhi di chi ho di fronte, questo non cambierebbe la mia quotidianità. Il pregiudizio sta nel voler omologare gli altri mentre la fede – il sapere che c’è un padre che ti ama – tira fuori l’unicità e l’amore in ognuno di noi.
Torniamo alla sua carriera. Quando ha capito di avercela fatta?
Mi sono detta “sta succedendo qualcosa” quando mi hanno affidato il ruolo da protagonista de Il paradiso delle signore. Fino a quel momento mi avevano sempre scelta per piccole parti, non ero stata presa sul serio come attrice e pensavo che il grande salto non l’avrei mai fatto. Invece, in poco tempo, cambiò tutto.
Qual è la cosa che le chiedono più spesso quando la riconoscono per strada?
“Quando torni al Paradiso delle signore?”. Il format è cambiato, ha ritmi diversi, sono passati molti anni ma mi trattano come se fossi una di famiglia.
Lei sembra sempre imperturbabile, quasi algida. Qual è il lato b, quello che il pubblico non conosce o conosce poco?
L’intransigenza verso me stessa. Chiedo molto, pretendo e mi arrabbio se non riesco ad arrivare a quell’obiettivo che sento come tassello di miglioramento.
Anche la Buscemi si arrabbia…
(ride) Mi arrabbio molto, tirando fuori il dialetto siciliano. Non sono imperturbabile, anzi. Ho momenti di profondo sconforto nella battaglia quotidiana, come tutti: cerco di essere una mamma presente e una professionista che sta al passo con tutto. Ed è una lotta che a volte mi fa andare in crisi. Soprattutto in passato. C’era l’orgoglio voler fare tutto da sola e di voler essere performanti a tutti i costi. Ad un certo punto ho imparato a fermarmi e a chiedere aiuto.
A chi lo chiede?
A mio marito, in primo luogo. E alla mia famiglia, anche se abitiamo distanti. C’è moltissimo da costruire per le mamme che devono lavorare: noi ci possiamo permettere delle baby-sitter e un aiuto, ma tante famiglie no.
In tutto questo ha trovato però il tempo di studiare e di laurearsi in Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma.
Ma anche in quel caso è stato necessario ribaltare lo schema che avevo in mente rispetto alla mia visione dell’università. Sono cresciuta e mi sono detta: “È importante studiare per sapere qualcosa in più da poter poi restituire”. Prima invece c’era solo la questione performativa per arrivare al voto più alto. Ho chiuso un cerchio e le confesso mi piacerebbe ricominciare. Ma ora aspetto un po’ perché nell’ultimo anno era diventato faticoso mettere assieme tutti i pezzi.
Cosa vorrebbe studiare?
Vorrei approfondire la psicologia e la pedagogia. Sono un’appassionata dell’essere umano, delle emozioni, della psiche. Ho scoperto in questo mestiere lo strumento per raccontare l’uomo partendo da una profonda compassione. Capire le persone distanti da me, interpretare anche i personaggi più lontani da Giusy è qualcosa di straordinario. Assieme alla noia, per me è la miccia che tiene viva la passione per il mio mestiere.