Dovevano servire per sostenere le fasce sociali più deboli nell’acquisto di generi di prima necessità ma, ad oggi, la Carta risparmio spesa e il Reddito alimentare esistono solo nei comunicati stampa. Come nella più classica tradizione italiana, infatti, alle due misure, introdotte dalla legge di Bilancio, mancano i famigerati “decreti attuativi”. Con il paradosso che i fondi ci sono ma rimangono soltanto cifre scritte nei budget dei due ministeri competenti (Agricoltura e Lavoro) finché non si deciderà di dare seguito alle norme. Il ritardo è ormai di quasi due mesi: entrambi i provvedimenti dovevano essere emanati entro 60 giorni dall’entrata in vigore della manovra, ovvero il primo gennaio di quest’anno. I ministeri guidati da Francesco Lollobrigida e Elvira Calderone non hanno risposto alle richieste di chiarimenti del fattoquotidiano.it.
La Carta risparmio spesa, destinata ai soggetti con un Isee inferiore ai 15mila euro, è una sorta di buono per acquistare i beni alimentari di prima necessità a costi calmierati presso i punti vendita aderenti. Per la misura, la cui gestione sarà affidata ai Comuni, sono stati stanziati nello stato di previsione del Ministero dell’Agricoltura (Masaf) 500 milioni di euro per il 2023. Somiglia molto alla Carta acquisti da 40 euro al mese già in vigore dal 2008, ma per le regole e l’importo la legge di Bilancio rimanda a un decreto dello stesso Masaf adottato di concerto con il Ministero dell’Economia. Il comma 450 dell’articolo 1 della legge 197 del 29 dicembre 2022 (ovvero la Legge di Bilancio) si sa che per stabilire i criteri di accesso al beneficio si terrà conto dell’età, dei trattamenti pensionistici e di altri sussidi già ricevuti dallo Stato, della situazione economica del nucleo familiare, dei redditi “nonché di eventuali ulteriori elementi atti a escludere soggetti non in stato di effettivo bisogno”. Il decreto attuativo, invece, dovrà indicare, oltre all’importo, anche “le modalità e i limiti di utilizzo del fondo” da 500 milioni, le regole “di fruizione del beneficio” e “le condizioni di accreditamento degli esercizi commerciali che aderiscono a piani di contenimento dei costi dei beni alimentari di prima necessità”.
Per quanto riguarda il Reddito alimentare, si tratta di una misura destinata a chi è in povertà assoluta. A differenza della Carta risparmio spesa, valida solo per l’anno in corso, il reddito, introdotto in via sperimentale per il 2023, ha un orizzonte più ampio. La Legge di Bilancio, infatti, istituisce nel budget del Ministero del Lavoro un fondo con una mini dote di 1,5 milioni di euro per quest’anno e di 2 milioni a partire dal 2024 “per contrastare lo spreco e la povertà alimentare”. Le risorse serviranno a erogare, nelle città metropolitane, pacchi alimentari “a soggetti in condizioni di povertà assoluta”. Le confezioni saranno realizzate “con l’invenduto della distribuzione alimentare” e potranno essere prenotate “mediante un’applicazione”. Il ritiro, invece, avverrà presso un centro di distribuzione oppure a domicilio nel caso di soggetti appartenenti a categorie fragili. Anche in questo caso, però, la misura rimane incagliata nel “porto delle nebbie” della burocrazia ministeriale. Il termine di sessanta giorni dal primo gennaio, data di entrata in vigore della Legge di Bilancio, è infatti scaduto da un pezzo. E del decreto del Ministero del Lavoro che deve definire “le modalità attuative”, “la platea dei beneficiari” e le “forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore”, non c’è traccia.
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