Chi possiede la verità? E, soprattutto, la verità può essere posseduta da qualcuno? Esiste un diritto alla verità e se appartiene a qualcuno, quale controllo e quali responsabilità comporta? In quest’epoca di interconnessione globale e di prestazioni in rapido sviluppo della cosiddetta Intelligenza Artificiale potremo mai più credere a qualsiasi fonte di informazione, persino visiva? Dobbiamo davvero abituarci a pensare alla verità come plurale, multicentrica e inafferrabile? Avrà mai più senso la definizione di “autentico” e di “originale” così come ancora li percepiamo oggi?

Interrogativi essenziali e cruciali in un’epoca di guerre che nascondono (neanche tanto) interessi geopolitici e aziendali inquietanti. Oggi infatti è un ristretto numero di persone, in maniera neofeudale, ad avere usurpato la gestione della conoscenza collettiva perciò ci sono più che ottime ragioni per dubitare che la verità esista ma anche che la tecnologia possa rappresentare la soluzione a questi problemi gnoseologici.

Una sola dovrebbe essere la domanda centrale: come possiamo rendere accessibili e utilizzabili i fantastici risultati della scienza e della tecnologia davvero a tutte le persone. Non è sufficiente infatti pensare soltanto a come impedire alle AI di danneggiare gli esseri umani (anche se questo è di vitale importanza). Uno strumento così tanto dipendente dalla “materia prima” collettiva globale di conoscenza e di creatività dovrebbe essere sfruttato a vantaggio di tutta l’umanità.

In questi anni molto si è parlato di “Umanesimo Digitale” ma sarebbe ora di proporre una forma di “socialismo digitale”, inteso come un “commonwealth”, un “contratto sociale” con il quale superare i profondi e sconvolgenti cambiamenti dell’era digitale senza dimenticare del cambiamento collettivo globale che ci riserverà presto lo choc climatico.

Chi possiede la verità è non a caso anche il tema di Ars Electronica 2023, il festival che precorre il futuro in programma a Linz, Austria i primi di settembre. Un festival unico e che vanta molti inutili tentativi di imitazione in Europa. Qui da più di 40 anni sotto il titolo “arte, tecnologia e società” si ragiona non solo su come la tecnologia cambi, plasmandola, la nostra società, ma anche a rivelare come l’arte e la società possano esse stesse a plasmare tecnologia.

Il ragionamento sull’essenza della verità ci porta a valutare qualunque informazione oggi come una strategia per fornirci informazioni false e creare cospirazioni nei social media diventando strumento di macchinazioni delle lobby e della grande industria che influenza perfino le basi scientifiche del cambiamento climatico provocato dall’uomo. Tutto ciò ha a che fare con la libertà di parola e di opinione, con il modo in cui ci rapportiamo con i bugiardi evidenti (fino alle più alte cariche dello Stato), e con il modo in cui vengono trattate le persone che pubblicano verità sgradevoli, come Edward Snowden e Julian Assange.

Ma ragionare sulla verità in un mondo interconnesso a livello globale ci porta anche a ripensare il concetto di di proprietà e il diritto ai profitti del lavoro intellettuale, della conoscenza e della generazione di contenuti, dal copia e incolla digitale all’appropriazione culturale.

La proprietà intellettuale e il diritto d’autore, in quanto pilastri centrali fino ad oggi dell’industria dei contenuti e della creatività, non sono già più in grado di rispecchiare adeguatamente i cambiamenti nel networking digitale – per non parlare di tutto ciò che ci sta arrivando con le AI tipo ChatGPT. Riguarda anche il concetto di proprietà in relazione alla natura, andando oltre il secolare dibattito filosofico e giuridico; riguarda la realtà (questa sì una verità inoppugnabile) dello sfruttamento e della distruzione della natura come un fardello incessante trasferito alle generazioni che verranno. Speriamo.

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