In questi ultimi tempi, molte aziende, anche di piccole dimensioni, hanno sottolineato l’importanza di scovare e alleviare i migliori “talenti”, dichiarando di privilegiare in molte situazioni un’intelligenza vivida a un iter di esperienze, magari solido, ma meno brillante. In altri termini, anche nelle piccole imprese, si cercano soprattutto “alti potenziali”, persone con un’intelligenza pronta e una forte inclinazione a utilizzarla in maniera consona alle esigenze aziendali. Ma cosa s’intende per intelligenza? Cosa stanno effettivamente cercando i piccoli imprenditori?
E’ forse il caso di sfatare, in un contesto con profonde carenze di competenze nella selezione del personale, qualche luogo comune sugli “alti potenziali”. L’intelligenza è in primo luogo la capacità di risolvere nuovi problemi, oppure di risolvere vecchi problemi in maniera innovativa.
L’elemento distintivo dell’intelligenza umana rispetto alle capacità di calcolo dei computer consiste nella capacità di compiere salti logici, riuscendo ad andare oltre gli algoritmi e i riferimenti posseduti in partenza. In questo senso, l’intelligenza non sarebbe del tutto indipendente dall’intuizione, la cui caratteristica principale è quella di non seguire i normali percorsi della logica formale.
Ma l’intelligenza e la connessa capacità intuitiva come si sviluppano? Intelligenti si nasce o si diventa? Il problema di stabilire se le facoltà intellettive siano geneticamente determinate, oppure si sviluppino in seguito all’interazione con l’ambiente, si trascina da alcuni decenni senza che si siano raggiunti risultati conclusivi in un senso o nell’altro. Inoltre nel corso degli anni Ottanta, grazie soprattutto all’opera di Howard Gardner si è cominciata a considerare come priva di fondamento la vecchia concezione di intelligenza come un fattore unitario misurabile tramite Quoziente d’intelligenza (Q.I.). Grazie ad una serie di ricerche su soggetti affetti da lesioni neurologiche, Gardner ha identificato nove distinte tipologie di “intelligenza” (logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica, esistenziale), ognuna deputata a differenti settori dell’attività umana.
A questi nove tipi di intelligenza, negli ultimi decenni del secolo scorso si è aggiunta, in ambito manageriale, con gli studi di Daniel Goleman, una semplificazione di questo approccio: “l’intelligenza emotiva”, ossia la capacità di comprendere e di utilizzare al meglio i vissuti interiori, propri e quelli degli altri, che si traduce in una maggiore fiducia in se stessi, adattabilità ed empatia.
Ma cosa succede nelle piccole aziende? Quali sono i riflessi manageriali del “modello delle dieci intelligenze”? In questi anni le piccole imprese, prive di know-how interno, hanno in molti casi delegato grandi attese al mondo della selezione, cui è stato chiesto un supporto fondamentale nello scovare nuovi talenti e nel supportare le imprese nella loro opera di rinnovamento. A questo non sempre si è risposto con un adeguato livello professionale.
Le barriere all’ingresso sono troppo basse e il mercato talvolta paga all’improvvisazione un prezzo salato per la selezione dei talenti. Non ha senso dire che esiste una persona più “talentuosa” o intelligente di un’altra, così come non esiste un unico fattore unitario di intelligenza. Esistono combinazioni infinite di tipologie intellettive, che producono risultati differenti in relazione alla loro tipologia e al contesto in cui la loro intelligenza si deve applicare. Einstein, l’esempio è tutt’altro che teorico, era sicuramente un genio, ma probabilmente in una grande azienda non avrebbe fatto carriera e, se l’avesse fatta, probabilmente come manager avrebbe combinato molti guai.
I risultati delle selezioni in queste realtà non sono sempre all’altezza delle aspettative.
Innanzitutto c’è una notevole divergenza di opinioni sul rapporto tra età e sviluppo dei talenti 8 e dell’intelligenza. Nel mondo delle piccole imprese giovinezza e talento sono per lo più sinonimi, determinando una grande dispersione di esperienze e di capacità. E’ una situazione, come chiarito qualche mese fa, che non si possono più permettere: perché questa identificazione non ha base scientifica e contrasta con l’allungamento dell’età anagrafica e di quella lavorativa. In altri termini occorre abbandonare ogni pregiudizio concernente l’apporto di talento da parte degli over quaranta.
In secondo luogo l’intelligenza non è solo di ordine razionale, ma si può esprimere in molti modi: compito dell’orientamento e della selezione è di identificare l’ambito più idoneo in cui una particolare tipologia d’intelligenza può manifestarsi al meglio. Non c’è manager adatto per qualsiasi situazione. Non necessariamente chi ha fatto bene in un’impresa sarà in grado di ripetere lo stesso successo in un’altra situazione, caratterizzata da altre dinamiche e dove si richiedono differenti doti intellettive ed esperienziali.
In questo senso il fai da te di molte piccole aziende può essere pericoloso.