L’evacuazione dei civili e del personale diplomatico americano ed europeo dal Sudan travolto dal conflitto tra l’esercito golpista e i paramilitari Rfs è ormai una corsa contro il tempo per cercare di sfruttare il già debolissimo cessate il fuoco mai pienamente attuato. Così gli Stati Uniti, per esfiltrare il personale della propria ambasciata, hanno compiuto un vero e proprio blitz delle forze speciali di stanza a Gibuti. Operazione che anche Parigi tenta di replicare, anche se le parti in conflitto si accusano a vicenda di aver attaccato un convoglio francese provocando un ferito. Mentre per gli italiani lo slot giusto per tentare la fuga dal Paese potrebbe essere intorno alle 12 di domenica.

A due settimane dell’inizio delle ostilità, il Paese è in pieno blackout. Si combatte negli aeroporti di Khartoum, mentre per le strade della capitale circolano gruppi e bande dedite al saccheggio, con la guerriglia che infuria. Intanto, anche Internet ha smesso di funzionare in quasi tutto il Paese, come raccontato all’Afp da un osservatorio web. “I dati di rete in tempo reale mostrano un collasso quasi totale della connettività Internet in Sudan, con la connettività nazionale scesa solo al 2% dei livelli ordinari”, ha twittato NetBlocks, un’organizzazione con sede a Londra che monitora l’accesso a Internet in tutto il mondo.

Anche per evitare che lo Stato africano diventi un buco nero nel quale venire risucchiati, i governi stranieri stanno cercando di portare fuori il più rapidamente possibile i propri cittadini. Così, nella notte, il presidente Joe Biden ha dato l’ok all’operazione che ha portato all’evacuazione dell’intero personale dell’ambasciata. Un blitz condotto con l’ausilio di un aereo militare a elica, capace di atterrare nei pressi della struttura diplomatica, e supportata dalle forze speciali a stelle e strisce che hanno portato i dipendenti probabilmente in una località segreta in Etiopia.

Anche la Francia ha iniziato una “operazione di evacuazione rapida” dei suoi cittadini e del personale diplomatico dal Sudan, ha annunciato il ministero degli Esteri. Anche i cittadini europei e quelli di “Paesi partner alleati” sono stati presi in carico, ha aggiunto il ministero, senza fornire ulteriori dettagli. Tra i Paesi europei che stanno lavorando a un piano d’esfiltrazione c’è anche l’Italia, con l’Unità di crisi della Farnesina che ha inviato un messaggio ai connazionali presenti nel Paese: “Cari connazionali, con il nostro ministero della Difesa stiamo lavorando a una finestra di opportunità per lasciare Khartoum via aerea che potrebbe avere luogo nella giornata di oggi, domenica 23 aprile. Il punto di raccolta sarà entro le ore 12 presso la residenza dell’Ambasciatore d’Italia”. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, assicura che “i nostri connazionali in Sudan sono stati tutti contattati, anche durante la nottata, dall’Unità di crisi del ministero. Sono stati chiamati uno per uno, stanno tutti bene e raggiungeranno la nostra ambasciata. Di più non posso dirvi per ragioni di sicurezza”. Nel pomeriggio, poi, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha fatto sapere che sono partite le operazioni di evacuazione: “Le attività di evacuazione dei nostri connazionali sono coordinate dal comando operativo di vertice interforze. Sono già decollati due C-130 dell’aeronautica militare alle 13.55 ora italiana da Gibuti alla volta di Khartoum con a bordo personale delle forze speciali dell’Esercito italiano e dei Carabinieri. La sicurezza degli aeroporti è assicurata dai fucilieri dell’aria dell’aeronautica militare”.

Anche il Belgio e i Paesi Bassi hanno annunciato l’avvio delle operazioni di evacuazione dei loro cittadini riferendo di aver mobilitato “tutti i servizi” per cercare di “portare in salvo il maggior numero possibile” di cittadini “il più rapidamente possibile”. Le operazioni, aggiunge la ministra belga, avvengono “in collaborazione con la Francia”. Anche la Gran Bretagna ha annunciato l’inizio delle evacuazioni dall’ambasciata.

Ad aprire uno spiraglio alla fuga dei cittadini statunitensi, si è appreso in mattinata, è stato l’accordo tra i paramilitari Rfs e Washington, con i primi che avevano promesso “piena cooperazione con tutte le missioni diplomatiche, fornendo tutti i mezzi di protezione necessari e garantendo il loro ritorno sicuro nei loro Paesi”. Il gruppo in precedenza si era detto pronto ad aprire “parzialmente” tutti gli aeroporti in Sudan per evacuare i cittadini stranieri.

Intanto, sul campo di battaglia l’esercito regolare fa sapere di avere sotto controllo quasi tutti gli aeroporti del Paese ad eccezione degli scali di Khartoum e Nyala, mentre i paramilitari ribelli denunciano che “le forze golpiste, sostenute da gruppi estremisti, hanno violato la tregua e hanno attaccato le Forze di supporto rapido nella zona di Kafouri con attacchi aerei. L’attacco ha preso di mira le case di cittadini innocenti, provocando decine di morti e feriti”.

Oltre alla questione sicurezza, si inizia a parlare anche del tema dei possibili rifugiati in fuga dal Paese. L’Unhcr ha dichiarato che “il Ciad orientale ospita già oltre 400mila rifugiati dal Sudan e i nuovi arrivi stanno mettendo ulteriormente a dura prova i servizi e le risorse pubbliche del Paese, già sollecitate oltre misura”, aggiungendo che ci sono “milioni di persone in fuga nella regione”. Negli ultimi giorni, secondo le stime, ci sono tra le 10mila e le 20mila persone in fuga dal conflitto nel Darfur.

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