“Sono orgogliosa di aver proceduto nei confronti del ministero della Difesa per rendere giustizia a mio papà. Nostra madre ha ottenuto un risarcimento, ma non abbiamo vinto alla lotteria, né al gratta e vinci. Perché mio papà è morto e io vorrei che lui fosse ancora qui con noi, che facesse il nonno. Avrei ancora un sacco di cose da chiedergli e non posso più farlo. Abbiamo ottenuto una mezza vittoria legale, ma tutti noi abbiamo subito una perdita umana, affettiva e morale enorme”. Francesca, che vive a Schio, come la mamma e la sorella Elisa, è figlia del motorista navale Federico Tisato, morto nel 2016 all’età di 67 anni per un mesotelioma pleurico causato dall’aspirazione di fibre d’amianto, risalente all’epoca in cui era imbarcato su due navi della Marina Militare italiana. Il Tribunale di Vicenza ha riconosciuto soltanto alla vedova un risarcimento di 400mila euro e un vitalizio di circa 1.900 euro al mese, visto che al marito è stato riconosciuto lo status di vittima del dovere. Nessun assegno invece alle due figlie, perché, quando il padre si ammalò e morì nel giro di due anni, erano già maggiorenni e autosufficienti.
“Mio papà ha prestato servizio tra il 1965 e il 1971 sulle navi Centauro e Cigno. Poi si è congedato ed è tornato in Veneto. Nel 2014 cominciò ad avvertire un bruciore allo sterno. Fu sottoposto a una Tac e la diagnosi terribile fu fatta nell’ospedale di Verona. Due anni dopo, nonostante un intervento anche a Padova, è morto con tantissime sofferenze. Aveva male, male, male… Alla fine lo abbiamo portato a Schio e lo abbiamo seguito in casa negli ultimi mesi di vita”. Tanta sofferenza è stata riconosciuta a distanza di oltre quarant’anni dal momento in cui terminò il contatto con l’amianto (o asbesto) presente nelle navi. Il lavoro in sala macchine era particolarmente a rischio, perché le fibre venivano utilizzate per ridurre le altissime temperature dei motori e dei condotti, ma rilasciavano polveri letali nei locali con aerazione ridotta. Purtroppo i marinai non erano informati del pericolo che correvano e migliaia di loro sono morti in tutta Italia. Il mesotelioma si può manifestare anche a distanza di decenni e non lascia scampo, come dimostra la vicenda di Tisato. “A noi figlie non è stato riconosciuto nulla. C’è una discrepanza di trattamento“, lamenta Federica. Che annuncia di voler fare appello contro la decisione del Tribunale: “Ora andremo avanti con l’iter giudiziario, augurandoci che l’eventuale beneficio possa venire riconosciuto a tutti gli orfani di vittime del dovere. Quando mio padre è venuto a mancare io avevo 32 anni e due bambini piccoli. Non ero a suo carico, ma questo non vuol dire che la mia sofferenza sia stata meno gravosa. Come neo-mamma avevo bisogno della presenza di mio padre. Mi è stata negata, così come ai miei bambini, che erano troppo piccoli, è stato negato anche il ricordo del nonno in vita. Noi questa sentenza la viviamo come un’ingiustizia profonda”.
La famiglia è stata seguita nella causa dall’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto. “Continua la disparità di trattamento tra orfani di vittime del dovere e quelli di vittime di terrorismo e della criminalità organizzata, che invece ricevono sempre i benefici. Le orfane, anche se non a carico, sono sempre figlie dell’uomo vittima del dovere: ci impegneremo con tutte le forze nelle sedi opportune per far sì che non ci sia più questa spiacevole discriminazione”. Come accade in tutti i processi per malattie causate dall’amianto, il riconoscimento della responsabilità civile non è stato facile, soprattutto a causa del lungo arco di tempo trascorso tra la fine del servizio militare e l’insorgere della malattia. Il percorso lavorativo di Tisato però era chiaro: per sei anni aveva avuto un contatto diretto con i motori, compresi quelli diesel, manipolava i materiali contenenti la fibra d’amianto, ma soprattutto operava in locali sottocoperta contaminati. Inoltre anche gli accessori che usava contenevano amianto, che avrebbe dovuto proteggerlo dal calore. Decisiva la perizia del medico legale Arturo Cianciosi, secondo cui il processo infiammatorio fui causato dalle fibre respirate nelle navi. La sentenza è stata emessa dal giudice Paolo Sartorello.