Al Festival Lovers a Torino, dedicato al cinema LGBTQ+, un ospite ucraino, Bohdan Zhuk, presiede la giuria dei documentari. È da anni il programmatore del Kiyv International Film Festival. Il passaggio a Torino è l’occasione per dare due straordinarie notizie: a giugno si terrà nella capitale ucraina il primo Festival interamente e esclusivamente a tematica LGBTQ+, nel quadro di un generale e rapido avanzamento dei diritti in questo campo.
A dirigerlo sarà lo stesso Bohdan, che già aveva organizzato, con lo stesso titolo Sunny Bunny, la sezione Lgbtq+ del Kiyv International Film Festival: “Abbiamo raccolto un po’ di fondi con il crowfunding – mi spiega – abbiamo avuto un sostegno da una fondazione tedesca ed eccoci pronti. Ci saranno circa 70 tra corti, documentari e lungometraggi. Una quindicina quelli ucraini, più che altro una retrospettiva”. A cominciare dal sognatore e surrealista Paradzdanov, perseguitato dal regime sovietico, che sviluppò la sua carriera e le sue principali opere proprio a Kyiv.
Bohdan Zhuk ci tiene a sottolineare che verrà posta la massima cura per garantire la sicurezza degli spettatori e degli ospiti stranieri. Ho personalmente sperimentato, qualche settimana fa, che Kyiv è praticabile. Gli allarmi aerei ormai sono più formali che altro e la vita in città ha molti aspetti di normalità. Per ragioni di ordine pubblico legate alla legge marziale, invece, non è previsto per quest’anno il Pride, cioè il corteo per le strade. Ma piazzato tra la terza e la quarta settimana di giugno il Festival Sunny Bunny avrà lo stesso ruolo di un Pride.
Dalla invasione russa in poi c’è stata una crescita significativa dell’appoggio alla causa Lgbt. E sono proprio le caratteristiche di questa guerra ad averla provocata. Si è fatto molto sentire il gruppo social “LGBTQI Military” fino ad alimentare addirittura la falsa leggenda secondo la quale sarebbe al fronte un battaglione tutto queer. Esagerazione. Ma comunque molti militari hanno fatto coming out e le loro storie sono note. Tutti i gruppi LGBTQ che erano nati in questi anni si sono intanto trasformati in gruppi di aiuto umanitario per i profughi interni.
La spinta alla legge sulle unioni civili – impensabile fino a pochi anni fa, impensabile in un paese come l’Ucraina – è venuta proprio dal tema militare e delle vittime di guerra, quelle reali, quelle possibili. Siamo uguali nel resistere, siamo uguali nel rischiare, siamo uguali nel combattere, dobbiamo esserlo nei diritti: questo il leitmotiv.
Si chiama Leda Kosmachevska, la altrimenti sconosciuta utente di Facebook che ha raccontato di aver sposato un amico gay che andava al fronte. “L’ho sposato perché così garantirò i diritti del suo partner, stanno insieme da 15 anni, ma per la legge non sono una coppia”. La vicenda ha fatto il giro del web ucraino. Nel frattempo era arrivata sul tavolo del presidente Zelensky una petizione per introdurre il matrimonio ugualitario: richiederebbe un cambio della Costituzione, ha risposto Zelensky, e non lo facciamo con la guerra “ma chiedo al Parlamento di prendere in seria considerazione una legge sulle unioni civili”. Il Parlamento aveva già adottato, nel dicembre scorso, una norma che penalizza la propaganda d’odio anti-omosessuale; poche settimane fa, a grande maggioranza, il Parlamento ha deciso di entrare nel merito della legge per le unioni civili.
Un sondaggio dell’Istituto di Sociologia di Kyiv ha appurato che i favorevoli ai diritti LGBTQ, e in particolare al matrimonio, sono passati dal 40% al 64% nel giro di due anni. Ci sono buone possibilità che la legge venga approvata ed entri in vigore entro pochi mesi. Inna Sovsun, la parlamentare prima firmataria della legge, si aspetta di dover comunque fronteggiare l’opposizione delle Chiese: “Ma almeno ai soldati al fronte non la possono negare, e quello sarà il nostro grimaldello”. La Sovsun ha dichiarato che “la Russia ha fatto un ottimo lavoro in termini di risveglio delle coscienze e cambio di atteggiamento nei confronti della comunità LGBT in Ucraina. Più la Russia insiste sulla omofobia e più si diffonde il rigetto di questo atteggiamento in Ucraina”.
Putin ha ripetutamente citato la difesa dei valori della famiglia tradizionale tra le motivazioni della “operazione speciale”. E la resistenza all’invasione russa finisce di converso per contrastare l’omofobia e metterla nell’angolo.