Appena sei giorni dopo la deposizione del patriarca Francesco Moraglia in Tribunale, nel caso del “corvo di Venezia” scoppia un inatteso cortocircuito. Il vescovo pensava di aver chiarito tutto in merito alle accuse false e calunniose di abusi sessuali contro sacerdoti della chiesa lagunare, contenute nei volantini che apparvero in città nel 2019 e che hanno fatto finire sotto processo il milanese Enrico Di Giorgi, 77 anni, ex dirigente di Montedison, e Gianluca Buoninconti, 55 anni, tecnico informatico lombardo. Moraglia aveva ricondotto quelle insinuazioni a una ritorsione infondata per il trasferimento di don Massimiliano D’Antiga dalla parrocchia di San Salvador a San Marco. Si era detto addolorato e ferito per essere stato additato come il pastore che aveva chiuso un occhio, evitando di vedere gli scandali nella comunità ecclesiastica veneziana. Alla fine aveva però dovuto ammettere che un caso di abusi nei confronti di minorenni c’era stato, nella parrocchia dei Carmini, dove un sacerdote si spogliava e faceva spogliare alcuni ragazzini. “Una goliardata”, aveva commentato, parlando di una vicenda isolata ma ammettendo che il sacerdote era stato sospeso dal servizio per cinque anni ed era stato sottoposto a un procedimento penale, concluso con un patteggiamento per adescamento di minori.
In realtà, però, di casi sospetti ce ne potrebbero essere altri: è la clamorosa novità emersa al termine della giornata di venerdì, quando il promotore di giustizia, don Federico Bertotto, ha raccolto per tre ore la deposizione del professor Alessandro Tamborini. Quest’ultimo è stato il principale accusatore di don D’Antiga, al punto da averne chiesto a suo tempo al Vaticano il trasferimento, prima che il sacerdote fosse ridotto dal Papa allo stato laicale a causa della sua insubordinazione verso il Patriarca. Tamborini (che si firma “Plenipotenziario per le politiche di tutela e promozione del patrimonio storico-artistico, Teologo, Cattedratico e studioso di Scienze Religiose”) ha consegnato a don Bertotto un dossier di 33 pagine, con la ricostruzione di una quarantina di fatti e circostanze riguardanti sia “quattro sacerdoti con comportamenti sessuali poco consoni alle regole della Chiesa”, sia “violazioni dei doveri canonici di attendere al governo della Diocesi e un atteggiamento di inerzia sulle molteplici denunce dello scrivente su varie situazioni diocesane e presbiteri sin dal 2014”. Un doppio attacco, alla moralità della Chiesa veneziana e al Patriarca. Paradossalmente sono le stesse accuse contenute nei volantini anonimi del Corvo, la cui paternità diffamatoria è stata attribuita dalla Procura a Di Giorgi e Buoninconti, con un ispiratore rimasto nell’ombra.
Tamborini, accompagnato dall’avvocato Sara Franchini, ha riferito anche di aver scoperto che un paio di sacerdoti veneziani frequentano l’app Grindr, alla ricerca di incontri occasionali a sfondo sessuale con uomini. Le presunte prove sarebbero contenute nelle pagine del dossier, che darebbero una certa sostanza alle accuse del Corvo, da cui tuttavia Tamborini si è sentito diffamato. Dopo che i giornali locali hanno riferito della deposizione, il Patriarcato ha diffuso un comunicato stampa. Spiega che Tamborini era già stato ascoltato (presente il vicario generale Angelo Pagan) il 14 settembre 2022. A uno scritto successivo di sintesi, “che per la gran parte riprendeva tematiche oggetto del colloquio e che avevano già ricevuto esaustiva spiegazione da parte del Patriarca, è stato dettagliatamente risposto il successivo 4 ottobre“. Il Patriarcato nega di aver trovato in altre mail “segnalazioni di comportamenti sessuali poco consoni alle regole della Chiesa”, ma afferma di aver “ritenuto utile acquisire in modo formale ciò che egli (Tamborini, ndr) diceva di voler riferire circa condotte e comportamenti” attraverso il promotore di giustizia. E nel merito? “Da un primo esame emerge come, in gran parte, si tratta della ripetizione ordinata di questioni già segnalate e debitamente valutate in passato. Riguardo ai sacerdoti, si tratta per lo più di segnalazioni già ricevute e valutate. Due di queste sono relative a presbiteri di altre diocesi, non più presenti nel nostro territorio da diversi anni, e che non hanno avuto l’uno incarichi parrocchiali e l’altro alcun incarico in Diocesi. Le altre segnalazioni appaiono più che altro impressioni e considerazioni generiche (…) prive di rilevanza penale-canonica”, sostiene il Patriarcato.
La replica di Tamborini è feroce. “Nel comunicato del Patriarcato sono contenute menzognere affermazioni e precipue volontà di discreditare, denigrare e diffamare lo scrivente. Ho già dato incarico ai miei legali di formulare denuncia contro le SS.VV. per diffamazione”, scrive. Inoltre, “in relazione a quanto dichiarato circa le “fantasie” attribuite allo scrivente di aver adito le massime autorità Vaticane intese in S.E. il Nunzio Apostolico (monsignor Emil Paul Tscherrin, ndr), massimo rappresentante della Chiesa e del Vaticano nello Stato Italiano, e S.E. il Segretario di Stato Vaticano (il cardinale Pietro Parolin, ndr)… le citerò con rogatoria internazionale come testimoni nel processo in corso sul “corvo””. Poi polemicamente chiede a don Bertotto: “Quale è la sua funzione di promotore di giustizia se un Patriarca e un vicario generale sovrastano i suoi compiti di indagine, emettendo un comunicato stampa solo 24 ore dopo la consegna di un memoriale di quaranta contestazioni e trenta capi di accusa, nel quale negano ogni addebito, dichiarano false le accuse, indicano fatti e circostanze come non inerenti a procedimenti canonici o penali, affermando dunque di aver svolto le indagini, e denigrando e diffamando lo scrivente?”. Per finire, Tamborini chiede la rimozione del Patriarca, che poi era la stessa minaccia pronunciata da D’Antiga, secondo quanto Moraglia ha riferito in Tribunale. Il 25 aprile si celebra la festa di san Marco: per la Chiesa veneziana non poteva esserci vigilia peggiore.