Mercoledì sera, stadio San Siro, semifinale di ritorno di Coppa Italia. In campo Inter e Juventus e anche Romelu Lukaku: vittima di cori razzisti, espulso all’andata per doppia ammonizione, squalificato dal giudice sportivo, graziato dal presidente federale Gabriele Gravina con un provvedimento senza precedenti. Se magari sarà titolare dal primo minuto e segnerà pure il gol decisivo, non sarà un lieto fine: solo una toppa che non cancella il buco della giustizia sportiva e del pallone italiano.

Parliamoci chiaro: l’affare Lukaku, tutto, dall’inizio alla fine, è l’ennesima figuraccia per il nostro calcio, per cui dall’estero ci ridono giustamente dietro. Per salvare la faccia alla Serie A, il presidente Gravina ha dovuto smentire il giudice sportivo e quindi invadere in un certo senso il sistema della giustizia sportiva, per altro con un’acrobazia normativa. È vero che il codice prevede l’istituto della grazia (art. 43), ma dice anche che questa può essere concessa solo “se è stata scontata almeno la metà della pena”. Per riabilitare l’attaccante dell’Inter, la Figc si è dovuta inventare un ragionamento per cui la metà della pena scontata sarebbe il primo cartellino giallo (il secondo gli è stato abbonato), quando in realtà è abbastanza evidente che il riferimento fosse alla giornata di squalifica e non alle due ammonizioni che l’hanno determinata. Gravina ha fatto bene a intervenire, anche a costo di forzare un po’ la mano, ma due torti non fanno una ragione: il punto non è tanto far giocare o meno la gara di ritorno a Lukaku, ma evitare che questi episodi si ripetano. La soluzione adottata, per quanto coraggiosa, interviene sul primo ma non fa nulla per il secondo. Ha sanato a posteriori un’ingiustizia, perché pensare che il calciatore rimanesse l’unico colpevole a pagare era semplicemente inaccettabile. Il resto però rimane tutto sbagliato. Per tempi e modi.

La gara doveva essere sospesa, come previsto dai protocolli che però vengono ignorati in maniera sistematica, e lo vediamo tutte le domeniche. Lukaku non andava espulso, l’arbitro Massa ha palesato una scarsa conoscenza di calcio (l’esultanza del belga è nota a tutti, tranne che a lui) e pure di buon senso. La curva doveva essere punita in maniera esemplare, altro che pena sospesa per l’attenuante di aver identificato “due” (la relazione degli ispettori federali parlava di “maggioranza dei 5034 tifosi occupanti il settore”) responsabili, classici capri espiatori per nascondere la polvere sotto al tappeto. E i 171 daspo della questura ai tifosi bianconeri sono un provvedimento necessario ma davvero troppo tardivo. La Juventus non doveva fare ricorso, i tifosi bianconeri non dovevano protestare, alimentando questo clima tossico ormai insostenibile. E da ultimo, se proprio vogliamo dirla tutta, a Lukaku non andava tolta la squalifica perché per quanto ingiusta non c’erano nemmeno gli estremi tecnici per farlo.

È una sequela di orrori, una pessima storia di calcio, per nulla edificante, nonostante il finale. Paradossalmente, era stato molto più lineare ed educativo il precedente di cinque anni fa, quel famoso Inter-Napoli del 2018 con l’espulsione di Koulibaly e la squalifica di due giornate per l’intero San Siro, accettata dal club senza proferir parola: quella fu davvero una lezione, e anche se evidentemente non l’abbiamo imparata, almeno ce la ricordiamo. Questa è solo un pastrocchio. Passa il messaggio che la lotta al razzismo si riduce a una pacca sulla spalla nei confronti del calciatore che ne è vittima: almeno non lo squalifichiamo, e lo lasciamo a battersi a mani nude contro i tifosi incivili. Praticamente il far west. Cioè il calcio italiano.

Twitter: @lVendemiale

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