Per il Napoli non so aspettare. Nella vita ho imparato che, in certi contesti e per certe situazioni, occorre saper attendere ma il tifo, dal greco typhos ‘fumo, vapore, febbre’ – intendendo l’offuscamento febbrile della mente, per la mia squadra del cuore evidenzia in maniera esagerata questo mio limite.
Ho ripetuto più volte negli ultimi tempi sui social che, fossi stato Spalletti, non avrei fatto il turnover perché volevo lo scudetto senza soffrire fino alla fine. Subito, senza preoccuparmi della Champions. Ma il mister, spesso considerato (anche dal sottoscritto) un impulsivo, mi ha dato una grande lezione di gestione delle emozioni: le “teorie di Mischel e dei suoi bambini” non le devi solo conoscere teoricamente ma, con l’esperienza, impari soprattutto a saperle applicare.
Nel 1970 uno psicologo americano, Walter Mischel, e i suoi colleghi idearono un esperimento che coinvolse centinaia di bambini tra i 4 e i 6 anni e che li vide protagonisti anche dopo, in adolescenza e in età adulta. In questo esperimento i bambini furono messi a dura prova. Infatti, un marshmallow veniva piazzato in un piatto di fronte a loro con il permesso di mangiarlo liberamente, ma con una difficoltà: se avessero resistito 15 minuti prima di mangiarlo, avrebbero ricevuto una seconda caramella in ricompensa.
Non così stranamente, una volta rimasti soli con il marshmallow, molti bambini lo mangiarono quasi immediatamente e molto pochi resistettero abbastanza da riceverne un secondo.
Cosa molto interessante, le differenze tra questi bambini hanno continuato a mostrarsi anche nelle rilevazioni successive durante la loro crescita: coloro che nel primo esperimento riuscirono ad attendere, portarono migliori risultati scolastici e meno problemi comportamentali rispetto ai bambini che avevano ceduto alla tentazione. Anche in adolescenza e di nuovo in età adulta, questi si rivelarono più competenti nel gestire le proprie emozioni per il perseguimento dei propri obiettivi.
Se ci guardiamo intorno, non è neppure così incredibile che la capacità di saper rinunciare ad una gratificazione immediata per una a lungo termine, possa portare diversi benefici.
Se finisco gli esercizi prima, ne faccio qualcuno in più così da compiere maggiori progressi.
Ma con il calcio anche le cose ovvie diventano irrazionali: il successo di solito arriva scegliendo giorno dopo giorno di applicare a noi stessi un po’ di disciplina, rinunciando alle facili distrazioni (ma non proprio a tutte!).
A seguito delle sperimentazioni, Mischel e colleghi hanno sviluppato la loro teoria per spiegare l’abilità umana di rimandare una gratificazione, proponendo quello che hanno chiamato “sistema caldo e freddo” ad indicare il perché la forza di volontà non abbia effetto o possa venir meno.
Il sistema freddo è riflessivo, rappresenta il pensiero, la razionalità, e incorpora la sua conoscenza riguardo sensazioni, sentimenti, azioni e obiettivi, portando la persona -ad esempio, a ricordarsi il perché non dovrebbe mangiare il marshmallow. Il sistema caldo, invece, è fatto di impulsi ed emozioni ed è responsabile delle reazioni immediate a certi stimoli – ad esempio, nell’infilare immediatamente il marshmallow in bocca senza considerarne le implicazioni. Questo sistema è quindi in grado di sovrascriversi su quello freddo, portandoci a comportamenti impulsivi.
La conclusione attuale di questi ricercatori è stata che i bambini riuscivano a resistere alla tentazione quando spostavano il processo dal sistema caldo a quello freddo. Dunque, coloro che sono riusciti ad attendere hanno impedito all’impulso di prendere il sopravvento usando delle strategie utili a distrarsi. Cioè, i bambini erano stati in grado di resistere quasi tre volte più degli altri quando invitati a pensare al piacere di mangiare dei brezel (ciambelline salate).
Quindi, per imparare a controllarsi è importante spostare la propria attenzione, in modo da mettere una distanza tra noi e ciò che rappresenta, in quel caso, una tentazione.
C’è un grande potere nel saper rimandare una gratificazione che ci permette di restare orientati sui nostri obiettivi, gestendo emozioni difficili come la frustrazione. Ogni giorno siamo messi alla prova in questo senso; quando dobbiamo rinunciare a quel capo di abbigliamento che ci piace per risparmiare soldi, quando scegliamo di fare a meno del dolce per rispettare la dieta, quando lavoriamo per ciò che per noi è importante invece che restare a letto sotto alle coperte.
Dato che anche la più piccola rinuncia non è vissuta come “piccola” quando ce la ritroviamo di fronte, vale la pena di pensare a modi nuovi per affrontare la nostra incapacità di negarci l’uovo adesso perdendo così la gallina che avremmo potuto avere domani.
Inoltre, anche quello che ci aspettiamo da noi e dagli altri ci influenza in merito; ad esempio, se i bambini non avessero creduto che pazientando avrebbero ricevuto una seconda caramella, non ci sarebbe stato alcun motivo per resistere. Per questo, aspettare non è solo una prova di autocontrollo, ma anche di fiducia nei confronti della situazione e, più in generale, rispetto a quello che saremo in grado di ottenere attraverso i nostri sacrifici.
Mi riprometto allora che la prossima volta che mi troverò di fronte ad una tentazione, non chiamerò in causa la forza di volontà, piuttosto, farò in modo di distrarmi. Che sia andando a fare una passeggiata o che sia fantasticando su qualcos’altro che mi piace, per arrivare a trarre dall’attesa quella soddisfazione che mai pensavo di poter trovare e che viene dal compiere una scelta più ponderata, a misura di ciò che voglio raggiungere in futuro.
E questo è qualcosa che mi farà sentire bene con me stesso più a lungo di una qualsiasi ricompensa facile e immediata.
Una promessa che sono certo non riuscirò a mantenere: ma quanti di noi, tifosi di calcio, possono dire di saper attendere? Soprattutto, quanti possono dire di essere capaci a rinunciare a una gratificazione immediata per ottenere qualcosa di più importante, ma che potrà portare benefici solo a lungo termine?
Il tifoso è ingordo.