di Giovanni Boanelli
Questa è una lettera che ho trovato tra le cose della mia famiglia. Penso che, dati gli attuali episodi di odioso revisionismo a cui abbiamo assistito, sia necessario non dimenticare mai di chi è “figlia” questa gente che oggi ci governa. Spero che la pubblicherete.
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Fosse ardeatine (24 marzo del 1944), il ricordo di una testimone
È sempre vivo nella mente di chi ha vissuto quegli anni questo episodio così tragico. I nostri vent’anni furono turbati e sconvolti dalla guerra e dall’armistizio, fino all’occupazione tedesca di Roma, culminante con l’eccidio delle Fosse Ardeatine. In quel periodo ricordo solo la paura e la fame, il coprifuoco e la crudeltà dei soldati tedeschi, sostenuti e spalleggiati dai fascisti che collaboravano attivamente a rendere più facile le deportazioni e le persecuzioni contro i civili, fieri della loro divisa da collaborazionisti.
Spesso un compagno di scuola o la compagna di banco sparivano misteriosamente solo perché ebrei. A centinaia venivano caricati sui camion e sui treni senza senza nessuna spiegazione, senza il diritto di sapere il perché, il come o dove.
Poi arrivò il 23 marzo del ‘44. Quel pomeriggio mi trovavo a via del Tritone (adiacente a via Rasella), con alcuni compagni e compagne dell’università per cercare presso alcune librerie pubblicazioni utili per i nostri studi. Eravamo giovani, pieni di speranze ma senza quella spensieratezza che caratterizza i vent’anni di chi si affaccia alla vita. Poi ci fu l’esplosione e il terrore invase tutte le strade del centro: i miei compagni si dileguarono per i vicoli della città per sfuggire alla Gestapo e ai solerti collaborazionisti repubblichini. Noi donne furono subito fermate e perquisite e, dopo ore passate con le braccia alzate e col terrore di essere portate in Via Tasso, fummo rilasciate.
I giorni seguenti li passammo nella paura, in un tragico silenzio, nell’incertezza del domani e con la speranza che non si mettesse in pratica il terribile avviso affisso in tutta la città: “Per ogni tedesco ucciso saranno giustiziati dieci italiani”.
Poi arrivò il 4 e 5 giugno del ‘44. I partigiani entrarono da Porta San Paolo seguiti subito dopo dagli americani: era la liberazione dal nazifascismo. Ricominciammo a vivere senza la paura della fame, delle persecuzioni, si poteva uscire e non avremmo più sofferto la fame e il freddo. Ma il nostro pensiero era sempre rivolto ai nostri compagni scomparsi in quei tragici giorni che seguirono l’azione partigiana.
Per avere notizie ci radunammo all’università con i nostri compagni e decidemmo di andare in un posto dell’estrema periferia romana dove si diceva era successo qualcosa di terribile. Quel posto era detto delle Fosse Ardeatine, grotte e cave scavate per raccogliere pozzolane e materiale edilizio. Andammo in bicicletta attraverso viottoli e strade di campagna. Anche altre persone si unirono a noi, si diceva che lì si era consumata la vendetta dei tedeschi.
Quando arrivammo in quello spiazzo appena accennato, a ridosso delle grotte ci apparve uno spettacolo raccapricciante immerso in una atmosfera mefitica. Le parole non bastano per descrivere le montagne di corpi dilaniati, tra i mucchi di terra e roccia da dovete uscivano fuori mani, piedi e corpi smembrati, indumenti sporchi, scarpe, ammucchiati davanti alle caverne. Rimanemmo paralizzati dal dolore, impotenti di fronte a tanto misfatto. Non lo dimenticherò mai ciò che vidi e mai perdonerò.
Morelli Piera in Boanelli – nata nel 1923 e morta a novembre del 2011