Eccoci al 25 aprile. Si dice, il primo con una destra al governo che non ne riconosce il valore, anzi che discende per filiazione diretta dagli sconfitti della grande guerra civile europea che è stata la Resistenza: da una parte regimi e eserciti animati dall’ideologia fascista, dall’altra tutti i movimenti e le insorgenze antifasciste ispirate alle tante idee democratiche che avevano caratterizzato non solo il periodo tra le due guerre mondiali, ma anche di più lungo periodo, da quell’Ottocento che si alimentava delle idee della Rivoluzione francese, libertà, eguaglianza, fraternità, e le sviluppava ribellandosi agli Stati assoluti, rivendicando gli statuti, le costituzioni, lo Stato di diritto.

In realtà, la situazione attuale era stata preceduta dalla stagione dell’anti-antifascismo berlusconiano dal 1994, anche se poi, negli anni, per governare questo paese ha ritenuto di fare buon viso a cattivo gioco e dar l’idea di accettare la Resistenza. Ma la storia della non piena accettazione del valore delle culture antifasciste in Italia è lunga. Berlusconi portava a sistema un fastidio che una certa Italia moderata aveva avuto per la guerra di liberazione, per la carica di rinnovamento che portava in sé, perché era una mobilitazione dal basso che per ciò stesso sconvolgeva un ordine sociale: le classi subalterne si facevano parte dirigente.

Li spaventava più questo aspetto di quanto non li rassicurasse il fatto che il movimento resistenziale aveva letteralmente salvato il paese – dall’esecrazione internazionale per i crimini fascisti, dalla subalternità pluridecennale alle potenze vincitrici della guerra (come invece accadde a Germania e Giappone che non avevano avuto forti resistenze), dalle distruzioni di industrie e infrastrutture programmate dalla ritirata tedesca, dallo sfascio dello Stato, dalla corruzione, dal discredito delle istituzioni che sono state ricreate e dotate di dignità dai Comitati di liberazione nazionale. Piero Calamandrei denunciava il tradimento della Resistenza da parte delle classi dirigenti italiane nel dopoguerra. Oggi siamo oltre il tradimento, oggi si vuole negare la Resistenza stessa, svuotandone o mistificandone i significati.

Si dice che non ha senso parlare di antifascismo perché il fascismo non esiste più da tanti anni e perché si può essere democratici senza essere antifascisti. Non si considera che la democrazia antifascista non è solo la lotta contro i regimi fascisti, ma è una nuova forma di democrazia, diversa e più avanzata di quella liberale. Infatti, essa nasce dai fallimenti dell’Italia liberale, della Repubblica tedesca di Weimar e della Terza Repubblica francese. Tutte vittime dell’assalto perturbatore delle seduzioni, degli inganni e delle violenze del fascismo.

La democrazia antifascista supera i limiti della democrazia liberale principalmente attraverso tre grandi nodi:
1. l’esistenza e la tutela dei corpi sociali intermedi, non previsti dalle costituzioni liberali e negati dal fascismo che li ha posti tutti fuori legge;
2. l’eguaglianza non solo formale ma anche sostanziale, ovvero la necessaria compresenza di diritti non solo legali, ma anche sociali;
3. la necessaria esistenza del conflitto. Ogni società è attraversata da conflitti, il fascismo li ha trasformati in guerra e fatto vincere con la violenza una parte: il conflitto sociale, uccidendo sindacalisti e socialisti, distruggendone le sedi, sciogliendone le organizzazioni; il conflitto di genere, imponendo un rinnovato patriarcato, il virilismo contro le conquiste femminili della prima guerra mondiale, il conflitto di religione imponendo una sola religione di Stato, e via così.

Nella progettazione della democrazia antifascista avvennero due incontri fondanti della nuova Italia. La partecipazione italiana alla Seconda guerra mondiale agì da strumento di disvelamento della natura del fascismo, provocando un distacco definitivo tra popolazione e regime, ciò che rese possibile l’incontro tra l’antifascismo storico, di coloro che erano in carcere, al confino, nell’espatrio o in un isolamento silente e le masse ormai del tutto esasperate dalla guerra e da chi l’aveva voluta. Tale è la Resistenza, l’incontro tra il popolo e il vecchio antifascismo, eroico ma isolato.

L’altro incontro fu quello tra le grandi correnti di pensiero politiche democratiche, che avrebbero dato vita alla Costituzione, ma che iniziarono a misurarsi, nella clandestinità, a partire dal 1943. Il liberalismo, nelle sue diverse e numerose sfumature, il socialismo, in tutte le sue declinazioni, e la dimensione religiosa dell’impegno politico, riassumibile, anche se non del tutto propriamente, nel termine dottrina sociale della Chiesa. Il patto tra queste tra grandi culture politiche ha creato il patto costituzionale che ha liberato l’Italia nel 1945 e che l’ha fatta diventare in un solo quindicennio da paese rurale arretrato a una delle prime potenze industriali del mondo.

Si dice che i comunisti avevano obiettivi diversi dagli altri antifascisti. Certo che sì, ma non nel senso che loro volevano una rivoluzione liberticida. Il partito comunista italiano scelse la via democratica e pluralista almeno dal 1942, la confermò nei fatti con la “svolta di Salerno” della primavera 1944, con la scelta parlamentare, ecc. Ogni partito della Resistenza riteneva che non fosse sufficiente liberarsi dei residui del fascismo sotto forma della illegittima repubblica neofascista di Salò, e porre fina all’occupazione tedesca, tutti sapevano che era necessario un profondo rinnovamento sociale, quello concepito dai cattolici era certamente diverso da quello dei comunisti, quello dei socialisti da quello dei liberali, e che dire degli azionisti? Ma tutti concorrevano a costruire una democrazia plurale, ovvero basata sul conflitto positivo, sulla dialettica virtuosa.

Il fascismo era altro, rappresentava la modernità anti-illuminista, aveva negato le grandi acquisizioni del Settecento riformatore, i tre grandi principi della Rivoluzione francese, libertà eguaglianza fraternità, così come la separazione dei poteri. Il 25 aprile ricorda la liberazione dal fascismo, quale pericolo più grave affrontato dalla civiltà acquisita dall’Europa e dal mondo occidentale nei due secoli precedenti.

E sia chiaro, è una festa attiva, non piovuta dal cielo. L’Italia è stata libera il 3 maggio, data della fine della seconda guerra mondiale nel nostro paese. Il 25 aprile è stato scelto perché è il giorno in cui il Comitato di liberazione nazionale proclamò l’insurrezione nazionale, mentre le grandi città del Nord erano ancora occupate. Chiaro, no?

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