Un tavolo tecnico sulla salute mentale. Resta una riforma ancora tutta da pensare quella dell’assistenza psichiatrica. Mancano le risorse, le strutture sul territorio sono ridotte all’osso e mancan un quadro giuridico di carattere penale che renda possibile intervenire su chi è violento. Dopo la Legge Basaglia, che compie 45 anni il prossimo 13 maggio e che permise la chiusura dei manicomi, ci fu la svolta nel 2014 con il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), dopo la denuncia delle loro drammatiche condizioni. La creazione della Rems (Residenze per le Misure di Sicurezza), strutture sanitarie residenziali con non più di 20 posti letto, dovevano rappresentare l’arrivo di un’assistenza diffusa e umanizzata rispetto al passato ma la tragedia della psichiatra uccisa da un suo ex paziente, dimostra secondo gli stessi medici, anche le difficoltà di questi centri, svuotati di risorse e organici. “La tragedia che ha colpito Barbara Capovani (la psichiatra uccisa da un ex paziente, ndr) ha riportato l’attenzione sulla salute mentale, tema quanto mai delicato e importante su cui siamo impegnati già dai mesi scorsi per definire strategie e azioni per la promozione della salute mentale. Oggi firmerò il decreto per la costituzione del nuovo tavolo tecnico, ispirato ai valori di qualità, equità, efficienza e sicurezza”. La dichiarazione del ministro della Salute, Orazio Schillaci, arriva al termine del confronto con esperti del settore della psichiatria e con la Direzione Generale della Prevenzione del ministero della Salute.
Il tavolo tecnico si avvarrà di gruppi di lavoro incentrati su temi specifici tra cui: epidemiologia e prevenzione; organizzazione dei dipartimenti, personale dei servizi, sicurezza e tutela dello stress; percorsi di cura per le persone con disturbo mentale autori di reato; Rems e carcere; benessere nell’età evolutiva; genere e tutela salute mentale madre-bambino; innovazione tecnologica e digital mental health. Il tavolo rispetto al precedente, si spiega in una nota del ministero, sarà più snello e avrà il compito di potenziare la qualità dei percorsi di prevenzione, trattamento e riabilitazione oggi a disposizione dei cittadini attraverso la verifica dei criteri di appropriatezza e congruenza. “Intendiamo promuovere il miglioramento della qualità della salute mentale, in ogni fascia di età, a partire dall’individuazione delle criticità sociali, assistenziali e organizzative. Avvieremo inoltre – ha aggiunto il ministro – un confronto a livello parlamentare per verificare l’adeguatezza dell’attuale normativa alle esigenze di gestione e controllo delle situazioni più difficili“. Sono diversi i soggetti che nei giorni scorsi hanno chiesto un intervento del governo per cercare di colmare quelli che vengono considerati vuoti rispetto alla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziaria e all’istituzione delle Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza”.
Servirebbero altri 10mila operatori nei servizi di salute mentale, ma il problema della sicurezza, rimarcano gli esperti, è soprattutto giuridico. “Dopo la chiusura dei manicomi nel 1978, qualche anno fa sono stati chiusi gli Ospedali psichiatrici giudiziari. Ora ci sono le Rems – spiega all’Ansa Massimo Cozza, direttore del dipartimento di salute mentale dell’Asl Roma 2, fra i direttori dei dipartimenti che hanno lanciato nei giorni scorsi una lettera-appello al Governo e al presidente della Repubblica Mattarella – ma queste strutture non sono adatte per tutti, in particolare per i pazienti che soffrono di disturbo antisociale, a rischio di atti violenti, come è stato per l’uomo che ha ucciso la psichiatra. Questi pazienti restano a carico dei servizi del territorio, nei dipartimenti di salute mentale, senza che questi abbiano le forze e le condizioni per affrontare le esplosioni di violenza. La richiesta è quella di cambiare il codice penale, fermo al Codice Rocco degli anni ’30. La proposta è di aprire in alcune carceri alcune sezioni specializzate per i pazienti con disturbo psicotico antisociale che si sono macchiati di reati”.
I direttori dei dipartimenti di salute mentale chiedono da parte loro “nuovi strumenti, sia dal lato sanitario che della Giustizia, senza continuare a lasciare a mani nude migliaia di operatori”. La Corte Costituzionale con la sentenza 22/2022, ha chiesto al Parlamento di intervenire su questo e gli stessi direttori di Dipartimento di Salute Mentale avevano diffuso una lettera appello alle Istituzioni per affrontare le gravi criticità dei servizi territoriali ed ospedalieri. “Due richieste sono ad oggi senza risposte. C’è bisogno di rivedere, dopo la giusta chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, l’attuale situazione critica di risposte della società ai pazienti psichiatrici che commettono reati, che sta riversando su chi lavora nei reparti di psichiatria e nelle Rems, problematiche, in particolare relative a quelle persone che hanno manifestazioni aggressive incoercibili che non possono essere gestite con iniziative solo sanitarie” hanno sottolineato i direttori. I gravi disturbi di personalità antisociali, che commettono reati o che evidenziano condizioni di violenza, proseguono, “sono da affrontare attivando percorsi specifici di massima sicurezza che garantiscano cure appropriate ma anche l’incolumità e la protezione di chi lavora”. C’è infine bisogno, concludono, “di una nuova progettazione della salute mentale in carcere” e “di rivedere le norme sulla semi-infermità e sulla non imputabilità”.
“È imprecisato il numero dei soggetti considerati ‘pericolosi’ che minacciano medici, infermieri, avvocati, magistrati, insegnanti, etc., ai quali non si riesce a fornire una risposta di cura o rieducazione. Non sono così ‘malati’ da poter essere sottoposti a Trattamento sanitario obbligatorio, che comunque dura una settimana e loro stessi non si ritengono ‘malati’ per sottoporsi volontariamente ad alcuna forma di trattamento. Tuttavia, non appaiono così ‘sani’ da poter essere arrestati e custoditi in carcere senza un accertamento psichiatrico” denuncia il presidente della Società italiana di psichiatria forense che, Enrico Zanalda, che dopo l’agguato mortale alla psichiatra di Pisa, Barbara Capovani, sollecita le Istituzioni a risposte concrete, a partire dal conferire un maggior potere ai giudici tutelari e nuove strutture educative”.
“Queste persone attribuiscono il loro disagio interno alla società o ad alcune categorie di questa che diventano il loro persecutore; hanno delle idee così bizzarre che difficilmente vengono considerati sani. Talvolta si mimetizzano in gruppi o associazioni alternative in cui ci sono correnti di pensiero come quella antipsichiatrica, terrapiattisti, cercatori di Ufo che comprendono persone rispettabili e tutt’altro che violente. È un argomento delicato perché da un lato non si riescono a prevenire omicidi di sanitari come quello di Pisa, e dall’altro non si vuole impedire alle persone di manifestare il proprio dissenso o pensiero in qualunque ambito anche molto originale. Bisogna impedire però – spiega Zanalda – che dal dissenso si passi alla rabbia e da questa alla violenza che viene agita da quei soggetti meno dotati intellettivamente che non riescono a dominare l’impulso violento”.
“Bisognerebbe poter contenere e rieducare queste persone dal momento in cui diventano reiteratamente minacciose, individuando delle soluzioni restrittive che non sono né il carcere né la Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Molti dei pazienti in Rems non hanno una malattia psichiatrica certa: si tratta di detenuti assegnati alla Rems per disturbi di personalità antisociale e dipendenza da sostanze o marginalità sociale, che non vanno confuse con le malattie mentali che possono usufruire dei percorsi residenziali nelle strutture di cura”.
“Le Rems – continua Zanalda – dovrebbero accogliere solo autori di reato giudicati, in maniera definitiva, infermi o seminfermi di mente, socialmente pericolosi e non adatti a soluzioni meno restrittive”. Sui 709 ospiti ricoverati nelle 31 Rems distribuite sul territorio nazionale, oltre la metà sono destinatari di misure provvisorie, analoghe alla custodia cautelare in carcere. In molti casi si tratta di detenuti non affetti da una patologia mentale conclamata che vengono ‘etichettatì come psichiatrici e assegnati alle Rems senza avere un’indicazione clinica. Persone che sottraggono posti a chi ne ha davvero bisogno e che dovrebbero andare in carcere o essere presi in carico da altri servizi sociosanitari rieducativi. Per queste ragioni si può ritenere non necessario aumentare i posti nelle Rems ma poter indirizzare le persone con disturbo antisociale di personalità in altre situazioni rieducative. Tra queste già esistono le ‘case di lavorò sottoutilizzate e sottorappresentate. Per curare bisogna prevenire ma non vi sono strumenti per poter limitare pazienti con noti comportamenti violenti prima che venga commesso un grave reato”. “L’accesso nelle carceri, nelle case di lavoro o nelle Rems – prosegue il presidente degli psichiatri forensi – avviene solo successivamente a un reato grave. Vi è la necessità di strutture comunitarie nuove, educative e contenitive il cui accesso prescinde dalla condanna ma potrebbe attuarsi attraverso la segnalazione al Giudice tutelare da parte delle agenzie deputate alla tutela e alla cura della persona, come già avviene in molti paesi dell’Unione europea.È necessario pertanto realizzare nuovi percorsi rieducativi – conclude Zanalda – in particolare per quei soggetti con disturbo antisociale di personalità che non beneficiano di trattamenti psichiatrici tradizionali. Per loro risulterebbero utili percorsi contenitivi e di rieducazione di lunga durata a cui se non costretti non si sottopongono. Il problema della psichiatria trattamentale – conclude – è un tema estremamente attuale tanto che durante il recente convegno della Psichiatria Forense si è discusso su come individuare nuovi modelli di intervento da proporre alle Istituzioni come risposta concreta a questa nuova emergenza”.