Per anni ha trafficato via Whatsapp con Luca Palamara, raccomandando magistrati amici per i vertici degli uffici giudiziari di tutta la Puglia, da Taranto a Brindisi, da Bari a Lecce. Quei messaggi finirono agli atti dell’inchiesta che ha terremotato il mondo della magistratura. Adesso Carlo Nordio, che definì quel sistema “un verminaio”, la vuole con sé in via Arenula a occupare una delle poltrone più importanti. Il Guardasigilli ha indicato Rosa Patrizia Sinisi, 66enne presidente della Corte d’Appello di Potenza, come nuovo vicecapo del Dog, il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, la struttura che da Roma gestisce l’immensa macchina della giustizia italiana. Una scelta che però potrebbe rivoltarglisi contro: sul curriculum della giudice, infatti, pesano numerose chat imbarazzanti con Palamara, acquisite nel processo di Perugia in cui l’ex re delle correnti era imputato di corruzione (accusa poi derubricata in traffico di influenze). Dialoghi già ritenuti dal Consiglio superiore della magistratura “idonei a determinare una ricaduta negativa sull’immagine di imparzialità e indipendenza”, che sollevano seri dubbi sull’opportunità della nomina. A tal punto che lo stesso Csm, chiamato ad autorizzare l’incarico fuori ruolo, potrebbe per la prima volta opporre un veto a Nordio, innescando un cortocircuito istituzionale. Vediamo perché.

Nel 2020, dopo la trasmissione dei messaggi da Perugia, il vecchio Consiglio aveva aperto un procedimento per incompatibilità ambientale nei confronti di Sinisi. Nella relazione firmata dall’ex consigliere Nino Di Matteo si legge che la magistrata, “legata a Palamara da ragioni di militanza associativa, aveva in più occasioni interloquito con il medesimo sulle procedure di conferimento di incarichi, rivendicando addirittura in un caso “l’appartenenza” del posto” alla loro corrente, Unità per la Costituzione: “È importante, il posto era nostro”, gli scriveva a giugno 2018, caldeggiando la nomina di un sodale a capo di una delle sezioni penali del Tribunale di Lecce. A dicembre 2017 era stata altrettanto esplicita: “Caro Luca, mi potresti fare un regalo di Natale? Circola voce che in questa settimana verranno decisi i posti di presidente sezione civile dei Tribunali di Lecce e Taranto. C’è molta attesa tra i nostri colleghi”. “Volentieri, dammi i nomi”, rispondeva l’ex pm. Che poi le riferiva sugli sviluppi delle pratiche: “Grande vittoria sul filo di lana, ennesimo bel successo ma faticosissimo… Per gli altri posti ti aggiorno prontamente…”. “Non unanimi ma blindati… accordo tra noi e Area” (la corrente progressista). “Siamo in plenum… tutto sotto controllo”. A sua volta la giudice consigliava all’ex pm come votare secondo i desiderata del territorio: “Se puoi almeno astieniti per evitare brutte figure”, “L’importante è dissociarsi”.

Di queste e altre chat Di Matteo sottolineava l’”inopportunità” e la “rilevanza deontologica”, nonché, come già detto, le ricadute sull’immagine di imparzialità e indipendenza. Ma concludeva che da sole non bastavano a giustificare un trasferimento, in quanto non incidevano “su vicende relative al distretto di appartenenza” della magistrata, cioè Potenza. Il pm antimafia suggeriva però che i rapporti tra Sinisi e Palamara avrebbero potuto essere “valutati in altre sedi consiliari, quali quella relativa alla procedura di conferma nell’incarico direttivo”, prevista in teoria alla scadenza dei primi quattro anni. Ma per la giudice – come per decine di altri magistrati “problematici” – quella procedura è stata fatta slittare a data da destinarsi: il primo termine da presidente della Corte d’Appello è scaduto a settembre 2020, ma Sinisi è rimasta in carica per altri due anni e mezzo senza che nessuno l’abbia mai valutata. Nonostante le dure osservazioni di Di Matteo, la magistrata ha potuto anche evitare il procedimento disciplinare grazie alla contestatissima “dottrina Salvi“, dal nome dell’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, che ha escluso la rilevanza deontologica delle chat “promozionali”, in una sorta di generale amnistia per le decine di magistrati coinvolti.

Ora però quegli scambi tornano a galla e rischiano di compromettere la nomina di Sinisi al ministero, trasformandosi in una nuova potenziale grana per Nordio. Il voto sull’ok all’incarico era all’ordine del giorno del plenum di mercoledì, ma è stato rinviato di una settimana: in teoria non esistono ragioni formali per negare il collocamento fuori ruolo, ma la normativa richiede che il Csm valuti il “contributo” che il magistrato può fornire alla pubblica amministrazione. E più di un consigliere è intenzionato a non avallare una scelta così discutibile. A dimostrarlo, nei giorni scorsi, è già stato il voto in Commissione: la proposta favorevole è stata approvata con soli due consensi, quelli dei laici di centrodestra Felice Giuffré (il relatore, in quota FdI, lo stesso partito di Nordio) ed Enrico Aimi (Forza Italia). I quattro consiglieri togati (Mimma Miele, Paola D’Ovidio, Antonino Laganà e Genantonio Chiarelli) hanno invece scelto di astenersi, anche perché – incredibilmente – nella relazione di Giuffré non c’è alcun riferimento alle chat tra Sinisi e Palamara. Per questo in plenum potrebbe essere approvato un ritorno della pratica in Commissione, in modo da integrare il documento con gli aspetti più controversi, sbarrando per il momento la strada a Sinisi. Se invece si andrà alla conta, il Guardasigilli rischia di vedersi bocciare la nomina per ragioni di opportunità istituzionale. Niente male, per uno che voleva scardinare il “sistema”.

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