L’Italia cambia inopinatamente rotta in materia di politica di contrasto alla povertà dopo appena tre anni e mezzo dall’introduzione del Reddito di Cittadinanza (RdC). Che verrà sostituito con una duplice misura denominata, la prima, Garanzia per l’Inclusione e, la seconda, Garanzia per l’Attuazione Lavorativa (GAL) – temporaneamente preceduta dalla Prestazione di accompagnamento lavorativo (PAL). Che valuteremo allorché saranno disponibili le loro norme attuative.

Val la pena, nel frattempo, richiamare il contesto entro il quale è maturata l’introduzione del RdC, i giudizi espressi su di esso dai soggetti istituzionali in sede di audizioni parlamentari e, infine, fare una riflessione sull’espulsione dal beneficio anti-povertà degli “occupabili”.

Le opinioni espresse dai soggetti istituzionali durante le loro audizioni parlamentari? Eccone alcune. “Il dibattito sul Reddito di Cittadinanza (RdC) è caratterizzato, oltre che da un eccessivo grado di politicizzazione, da una diffusa mancanza di conoscenza di come funziona e di cosa succede veramente ai beneficiari di una misura che è analoga ad altre che esistono da tempo in Europa, e che, come ha documentato anche l’Istat, negli anni della pandemia è stata essenziale per evitare la caduta in povertà assoluta di oltre un milione di persone.” (Chiara Saraceno, presidente del Comitato scientifico di valutazione del RdC presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali).

La Banca d’Italia ritiene il RdC “una tappa significativa per il sistema di welfare italiano, essendo una forma di reddito minimo presente in tutti Paesi dell’Eurozona dove, in molti di essi, ha carattere di universalità. Ha contribuito a contenere gli effetti negativi del Covid-19 sul reddito disponibile delle famiglie più fragili, prima, e sostenuto il potere d’acquisto delle stesse nel recente shock inflazionistico, in seguito”. (Audizione Camera dei Deputati, 5.12.2022).

La Corte dei Conti (Audizione del 2.12.2022) dice che “La copertura finanziaria della manovra economica per il 2024 e il 2025 è affidata ai risparmi sul fronte previdenziale (leggasi: modifica peggiorativa dell’indicizzazione sulle pensioni) e al RdC.” Assieme questi “risparmi” valgono 7,5 dei 10,7 miliardi di minori spese correnti nel 2024 e 7,6 miliardi dei 12 totali nel 2025.

La molla che ha fatto scattare l’introduzione del RdC in Italia nell’aprile 2019? Le annose sollecitazioni dell’Unione Europea che trova ingiusta e socialmente pericolosa la mancanza in Italia di una misura ordinaria di fronteggiamento della povertà. E ciò per almeno tre motivi. Il primo: la necessità di mitigare l’esplosione del “lavoro inutilizzato” (disoccupati più scoraggiati) che, nel 2018, si cifrava in oltre 5,5 milioni di persone, quasi il 30% del lavoro inutilizzato in tutta l’Eurozona. Il secondo: l’urgenza di una misura di contrasto alla miserrima condizione di 5 milioni di “indigenti” nel 2018. Il terzo, infine, è la vasta platea di lavoratori poveri italiani che, pur lavorando, si collocano al di sotto della soglia di povertà relativa.

Sono oltre 4,7 milioni, cioè il 29% dei lavoratori dipendenti censiti dall’Inps, coloro che sono poveri a causa della crescita esponenziale del part-time involontario (subìto, dunque, perché inadeguato rispetto alle esigenze di vita), precario e malpagato. La necessità, pertanto, è di rafforzare – non di “tagliare” – le risorse per fronteggiare la povertà nostrana poiché aumentata nel 2021 (sono 5,6 milioni gli indigenti censiti dall’Istat) e perchè esploderà nel 2023 a causa della misera crescita prevista (tra lo 0,7% e lo 0,9%), ben diversa da quella del 2021 (+9,0%) e del 2022 (+3,7%) conseguite grazie alle risorse pubbliche veicolate dalla strategia europea Next Generation-EU.

La riforma incombente suddivide le famiglie povere in “più fragili” – ovvero quelle con almeno un componente disabile o minore o con più di 60 anni – e meno fragili. Queste ultime definite tali attraverso due criteri (arbitrari, che non trovano corrispondenza negli altri Paesi Ue), che sono l’età dei componenti il nucleo familiare (compresa tra i 18 e i 59 anni) e l’assenza di disabili, minori o anziani. Le famiglie meno fragili sono definite “occupabili” e, per tale motivo, dal 2025 non riceveranno alcun sussidio.

Quanti sono e quale è l’identikit degli occupabili perdenti sussidio? Sono oltre mezzo milione di persone, sono principalmente single, di età compresa fra i 46 e i 59 anni, residenti al Sud, con la licenza media, molto distanti dal mercato del lavoro e, quindi, assai poco appetibili per le imprese. D’altronde le imprese nostrane possono ampiamente soddisfare le proprie (magre) esigenze occupazionali pescando tra ben 10 milioni di lavoratori disponibili: i 4,7 milioni di lavoratori poveri visti poc’anzi e gli oltre 5 milioni tra disoccupati e scoraggiati. Tutti dotati di esperienze lavorative ben più solide e recenti dei nostri “occupabili” e aventi una scolarità e qualifiche professionali decisamente superiori.

Povere imprese o povero lavoro e poveri “poveri”? Mai quesito fu meno amletico.

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