Fedele alla linea del “non disturbare chi vuole fare”, nel cdm annunciato per il Primo maggio il governo Meloni intende allargare ancora i paletti che limitano la precarietà. E già che c’è coglie l’occasione per fare quello che il giuslavorista Enzo Martino definisce “un regalino ai consulenti del lavoro“ il cui consiglio nazionale è stato guidato dalla ministra Marina Calderone fino al suo arrivo in via Veneto. Nelle bozze del decreto Lavoro, accanto allo smantellamento del reddito di cittadinanza, è stata inserita infatti anche la riscrittura del decreto Dignità nella parte in cui consente alle imprese di assumere a termine per durate superiori a 12 mesi solo in presenza di precise condizioni, le cosiddette causali. L’intervento punta a offrire la flessibilità da sempre invocata da Confindustria.
La direzione è la stessa verso la quale le principali forze politiche si erano mosse già nel 2021, iniziando a scardinare con voto bipartisan il provvedimento del primo governo Conte. Ma ora c’è un salto di qualità “pericoloso e insidioso dal punto di vista ideologico“, spiega Martino: “Si scavalca anche la contrattazione collettiva e si consente di ricorrere a lavoro precario per esigenze che di fatto saranno inventate dall’azienda e “certificate” a pagamento – per evitare successive contestazioni – da enti bilaterali o consigli provinciali dei consulenti del lavoro. Cioè organismi privi di qualsiasi terzietà e incompatibili con una reale tutela del lavoratore”.
Sì al precariato con l’ok di sindacati non rappresentativi – Il testo, ancora in fase di ritocco al ministero, conferma la possibilità di superare il limite dei 12 mesi per sostituire dei lavoratori e per “specifiche esigenze” previste dai contratti collettivi. Ma non più solo quelli firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi e (se aziendali) dalle loro rappresentanze interne o dalla rsu eletta dai lavoratori, come già previsto a valle delle modifiche fatte nel 2021 con il decreto Sostegni bis. Il requisito della rappresentatività resta solo a livello nazionale. Scendendo al livello aziendale andranno bene accordi firmati da qualsiasi rappresentanza sindacale aziendale. Potrà quindi trattarsi di sindacati minori, per esempio “le stesse associazioni che firmano i contratti pirata“, come ha notato Maria Cecilia Guerra, responsabile lavoro del Partito Democratico. “In questo modo si apre la strada a una giungla di soggetti negoziali”, nota Martino. “La scelta di far riferimento alla contrattazione aziendale è sempre stata sbagliata: a quel livello i sindacati sono esposti a ricatti occupazionali e portati a firmare qualsiasi cosa. Ma il vero vulnus del testo è un altro”.
Il “timbro” sulle causali affidato ai consulenti delle aziende – Quale? La nuova causale prevista dalle bozze: se nemmeno la contrattazione offre appigli, i datori potranno invocare esigenze “di natura tecnica, organizzativa e produttiva” approvate dalle commissioni di certificazione “di cui agli articoli 75 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”. Si tratta degli organi abilitati dalla riforma Biagi alla certificazione dei contratti: Direzioni provinciali del lavoro, enti bilaterali, università o consigli provinciali dei consulenti del lavoro. Ed ecco il vulnus: “I consulenti del lavoro lavorano per le aziende”, ricorda Martino. “La loro certificazione sarà solo un timbro, a pagamento. Grazie al quale, visto che in teoria le commissioni di certificazione sono una sede protetta, il lavoratore a fine rapporto non potrà poi contestare in sede giudiziaria l’inesistenza della causale e chiedere l’assunzione a tempo indeterminato”. Dunque da un lato si tolgono tutele ai precari, i lavoratori più facilmente ricattabili, dall’altro si fa “un regalino ai consulenti senza giustificazioni, il che chiama in causa anche il conflitto di interessi della ministra”. Che nelle scorse settimane, come raccontato dal Fatto, ha già deciso di far entrare i consulenti nell’organizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Non molto più rassicurante, secondo il giuslavorista che è tra i fondatori dell’Associazione Comma2, il ricorso agli enti bilaterali “che spuntano ormai come funghi” e ad alcune università per le quali le commissioni di certificazione sono diventate “un business“. Di certo il progetto del governo è chiaro: “Vuole la disintermediazione. Togliere ogni ruolo al sindacato e dar validità ad accordi individuali tra lavoratore e impresa, sottoscritti grazie al fatto che il lavoratore in quella fase ha interesse a proseguire il rapporto di lavoro e blindati grazie a una certificazione fittizia”.
Ancora più grave il fatto che la bozza della relazione illustrativa dica che, “in alternativa” al passaggio davanti ai servizi ispettivi del lavoro, si “conferma” la possibilità di concordare in quelle sedi anche un allungamento del limite massimo del contratto a termine da 24 a 36 mesi. Intanto, la normativa attuale non equipara le commissioni di certificazione all’Ispettorato del lavoro (dove già ora è consentito firmare la “deroga assistita”). Quindi eventualmente servirebbe un intervento normativo ad hoc. Ma quale sarebbe il risultato? “Se mai il sindacato si rifiuterà di firmare un accordo che giustifica il superamento del tetto, l’azienda non farà altro che andare dai consulenti del lavoro e procedere ugualmente”.
Quasi 3 milioni di precari – Le novità in via di approvazione sono quindi dirompenti. E riguarderanno gli occupati con contratto a termine di durata inferiore a 12 mesi, che sono la stragrande maggioranza dei 2,9 milioni di precari contati dall’Istat a febbraio (il dato più recente disponibile). Stando all’ultima nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione di istituto di statistica, ministero del Lavoro e Inps, tra i contratti a tempo determinato attivati nel terzo trimestre 2022 ben 3 su 10 durano meno di 30 giorni e quasi metà non arriva a 60, mentre solo lo 0,6% supera l’anno. Lo scorso anno gli occupati stabili solo saliti di 400mila unità, a 15,27 milioni, mentre quelli precari sono lievemente scesi (-47mila), ma secondo Bankitalia e lo stesso ministero guidato da Calderone questa “ricomposizione” verso il lavoro stabile mostra già le corde e avrà vita breve. Se passa il decreto l’inversione di tendenza sarà ben più netta.