“Non è certo il primo a scriverci ma mi dispiace che questa lettera l’abbiano lasciata a mano, nella buchetta postale di mia madre in Vaticano – quindi sarà uno interno allo Stato Pontificio – col rischio che la leggesse lei, perché ci sarebbe rimasta malissimo. Per quanto mi riguarda, già l’ho cestinata”: così Pietro Orlandi commenta a FqMagazine la lettera a lui indirizzata ritrovata ieri nella cassetta della posta dell’appartamento dove vive sua madre Maria Pezzano Orlandi di 93 anni. Lo stesso da cui il 22 giugno del 1983 scomparve come inghiottita dal nulla sua figlia Emanuela che non ha più potuto abbracciare. La famiglia Orlandi, lo ricordiamo, è una delle poche residenti nello Stato Pontificio. Il padre di Emanuela, Ercole, lavorava come messo papale nel Palazzo Apostolico e morì nel 2004 a 74 anni, senza poter conoscere il tragico destino della figlia 15enne sui cui tutto il Paese chiede di far luce, attraverso una commissione d’inchiesta parlamentare dedicata al caso più buio e impenetrabile dal secondo dopoguerra. “Sono stato tradito da chi ho servito”: disse Ercole Orlandi prima che il suo cuore si arrendesse. Un uomo devoto, come sua moglie Maria che ancora vive in Vaticano e che di certo avrebbe accolto con molta amarezza la lettera di ieri. È firmata da Luciano Dei, un nome presumibilmente falso. Sul retro c’è un francobollo che fa riferimento alla città di Padova ma sopra non c’è nessun timbro, a riprova dell’ipotesi di Pietro che sia stata recapitata a mano mentre il mittente voleva far credere, ma senza troppo ingegno, di averla spedita da un’altra città.
Dentro ci sono accuse pesanti: “Ciao Pietro, sei un bugiardo e lo sai! Quelle vergognose allusioni nei confronti di Papa Woytjla non te le ha riferite nessuno, te le sei inventate te” ma il fratello della 15enne rapita nel 1983 appena una settimana fa ha dichiarato (nel corso della trasmissione DiMartedì su La 7) che se necessario ai fini dell’indagine in corso in Vaticano – la prima dopo 40 anni su sua sorella – si sarebbe reso disponibile a svelare le sue fonti al promotore di giustizia del tribunale Vaticano. “Non andava certo a benedire le case”: questa sarebbe l’accusa infamante di Pietro su Giovanni Paolo II in riferimento alle uscite del Papa fuori dalle mura vaticane. Sulle uscite serali di Papa Giovanni Paolo II, anche il giornalista e conduttore di Atlantide Andrea Purgatori ha mostrato di recente un suo vecchio articolo, datato 15 maggio del 1981, quando era un giovane cronista del Corriere della Sera. L’articolo fu richiesto dal Corriere a Purgatori due giorni dopo l’attentato al Papa. Il titolo era “Wojtyla esce anche solo e senza avvisare nessuno”. Addirittura si racconta che una notte cercavano il Papa nel suo appartamento e non lo trovarono, era sua abitudine uscire autonomamente senza scorta. Nulla che non fosse già stato reso noto, insomma, e che è stato riferito da Pietro Orlandi al promotore di giustizia della Santa Sede solo perché anche questo potrebbe rientrare tra gli elementi utili a capire cosa sia successo a Emanuela.
A lanciare accuse pesantissime a Woytjla non è mai stata la famiglia Orlandi ma Marcello Neroni, come si può ascoltare dall’audio divulgato dal blog Notte Criminale del giornalista Alessandro Ambrosini, in cui l’ex boss della Banda Della Magliana tira in ballo il Papa polacco in merito alla pedofilia. Sull’inchiesta in corso, il mittente del messaggio scrive: “Su quali basi si svilupperà? Con i soliti documenti falsi!”, ma Pietro Orlandi ha depositato un memoriale presso il Vaticano con tutti gli elementi di cui è entrato in possesso in questi 40 anni di ricerche ininterrotte. “Questa è la conseguenza di chi ha voluto giocare a fare il giornalista. Mi si può offendere come vogliono, non mi interessa”, ha aggiunto Pietro. La missiva si conclude con un anatema: “Il Vaticano è stato anche troppo paziente, dovrai rispondere a Dio delle tue cattiverie”. A finire sul banco degli imputati sono ancora una volta le vittime: la famiglia di una 15enne rapita, la cui vita presumibilmente sarà stata interrotta tragicamente, che cercano soltanto la verità su una loro familiare su cui mille ipotesi sono state fatte ma senza portare a nessuna certezza.