Lavoro & Precari

Incidenti sul lavoro in ‘ambienti confinati’: così una buona organizzazione può salvare la vita

di Federico Lucia*

Troppo spesso sentiamo associare agli incidenti un senso di ineluttabilità e di fatalità, come se esistesse una forza che va oltre la capacità predittiva e all’istinto di autoconservazione dell’uomo. Se è pur vero che esistono luoghi e attività esposti a rischi significativi, dobbiamo tuttavia tenere a mente che ogni pericolo può essere minimizzato con la giusta combinazione di tecniche preventive (ridurre la probabilità che l’evento possa verificarsi) e protettive (ridurre le conseguenze qualora dovesse verificarsi).

Gli spazi confinati e sospetto inquinamento sono, tra questi ambienti, quelli maggiormente esposti a tali rischi e sono molti i fatti di cronaca che attestano tragiche (e, in molti casi, evitabili) incidenti anche fatali: basti pensare che il rapporto tra eventi incidentali e numero di decessi è superiore a 1:1. Una vera e propria anomalia nel panorama statistico connesso alle tematiche di salute e sicurezza.

Ambienti confinati e sospetti inquinamento: cosa sono e quali rischi hanno?

Si tratta di luoghi di lavoro occasionale, spesso isolati, di tipo “orizzontale” (dove non è necessario calarsi in quota ma la movimentazione avviene in piano), “verticali” (dove è necessario l’utilizzo di imbragature e attrezzatura speciale per il recupero in emergenza di eventuali feriti), o “complessi” (ambienti composti sia da segmenti orizzontali che verticali).
Parliamo dunque di vasche, canalizzazioni, pozzi, cisterne, fognature, scavi, gallerie. Ma, volendo estendere almeno parte di tali rischi a fattispecie similari, potremo anche considerare un container pieno o un cavedio tecnologico uno spazio confinato (anche se, magari, privo di rischi connessi all’inquinamento ambientale).

Alcuni rischi associati a tali ambienti sono facilmente individuabili: difficoltà nel muoversi, scarsa illuminazione, cadute dall’alto (se gli ambienti sono verticali o complessi) carenze nella ventilazione e nella disponibilità di ossigeno (asfissia), presenza di sostanze velenose per l’uomo (intossicazione). Altri rischi potrebbero consistere nella presenza di atmosfere esplosive (ATEX), nel lavoro che in alcuni casi viene condotto in solitaria, nella difficoltà ad intervenire in caso di emergenza sanitaria.

Si tratta in ogni caso di rischi che, con le giuste attrezzature, competenze, organizzazione e informazione, potrebbero essere evitati. È emerso infatti che, tra i fattori maggiormente critici, risaltano in particolar modo la scarsa consapevolezza del rischio, procedure di emergenza inappropriate e non adeguatamente testate e la spinta emotiva portata dalla cosiddetta “catena della solidarietà”, ove il soccorritore diviene a sua volta vittima poiché non interviene nel modo corretto.

Come possiamo tutelarci?

È fondamentale, prima di ogni altro aspetto, considerare un’attenta pianificazione: conoscere lo spazio di lavoro (verticale, orizzontale, complesso) e i rischi ad esso associati (movimentazione, ambientali, organizzativi).

In seguito, andrà definito il piano di lavoro che identifichi chiaramente i passaggi operativi da svolgere, le verifiche preliminari e successive di sicurezza, ruoli e competenze necessarie, disponibilità adeguata di attrezzature e risorse umane, eventuali terze parti coinvolte.
Oltre al piano di lavoro, andrà elaborato, testato e aggiornato il piano di emergenza, con la previsione di prove realistiche capaci di addestrare realmente (e non solo su carta) i lavoratori chiamati ad intervenire e il preposto addetto alla vigilanza. All’interno del piano dovranno confluire anche le attrezzature impiegate per l’estrazione e il soccorso.

Diventa fondamentale la condivisione di tale piano e della scheda informativa dell’ambiente con tutti i lavoratori, interni ed esterni, coinvolti, che andranno formati e addestrati a tutte le procedure operative ed emergenziali.

Conclusa la pianificazione si passa alla fase operativa con la segregazione fisica dello spazio confinato, il cui accesso dovrà essere consentito solo al personale autorizzato e formato, nonché correttamente dimensionato (il rapporto ideale è generalmente 2:1, ossia due assistenti esterni per ciascun lavoratore all’interno dell’ambiente), con il supervisore esterno che coordina e mantiene contatto audio-visivo con le squadre operative.

In questa fase andrà verificata la pulizia, la messa in sicurezza di apparecchiature elettriche e la disponibilità e corretto stato manutentivo dell’attrezzatura operativa: elettronica (idonea ad operare in ambienti ATEX), di protezione dalle cadute dall’alto, di respirazione (maschere filtranti e autorespiratori) e infine quella di emergenza (es. tripodi, barelle, maschere, KED). Prima di accedere allo spazio, andranno eseguiti i controlli di qualità dell’aria, la misurazione dell’ossigeno e la presenza di sostanze inquinanti, attraverso campionamenti eseguiti ad ogni metro, prima e durante l’attività lavorativa.

Conclusioni

Formazione, informazione, addestramento, consapevolezza. A tutti i livelli.
Sono questi i fattori critici di successo che potrebbero salvare molte vite e invertire le statistiche infortunistiche correlate a tali ambienti. A pochi giorni dal 1° maggio e dalla Festa dei Lavoratori, non possiamo che riflettere su quanto oggigiorno sia assurdo morire per il lavoro e per incidenti evitabili.

* Giurista – informatico, Safety Manager e Business Continuity Manager del CSI Piemonte, ha maturato pluriennale esperienza sulle tematiche di sicurezza, business continuity, privacy e risk management. Formatore qualificato, è iscritto al repertorio degli Esperti BBS e docente ai corsi di perfezionamento presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. È inoltre autore di articoli su testate specialistiche e di un libro intitolato “Il nuovo codice in materia di protezione dei dati personali” edito da Giappichelli.