La Commissione europea ha presentato oggi il piano di riforma del patto di stabilità. Per l’Italia non c’è molto da festeggiare, la “ricreazione” del Covid è finita e le regole tornano a farsi severe. Le stelle polari in base alle quali le finanze pubbliche devono impostare la loro rotta rimangono sempre quelle. Debito sotto al 60% del Pil, e deficit (differenze tra entrate e spese in un determinato anno) non oltre il 3%. Dopo la Grecia, l’Italia è il paese dell’area euro con il debito più alto in rapporto al Pil, nel 2022 si è attestato poco sopra al 144%. Va però riconosciuto al paese di aver sempre avuto un avanzo primario, ossia prima di pagare gli interessi sul debito pubblico, le entrate superano le spese, nel rispetto degli obblighi comunitari. Unica eccezione sono stati gli anni del Covid. In vista della riforma il governo di Giorgia Meloni aveva chiesto una cosa sola, una “golden rule” sugli investimenti. Ossia la possibilità di non conteggiare nel debito alcune particolare spese destinate alla crescita (es transizione verde) o per la difesa. Richiesta che però non è stata accolta.

La riforma però non piace neppure alla Germania che chiedeva regole più severe per i paesi con i conti meno solidi, cioè noi. “Le proposte della Commissione europea non soddisfano ancora le richieste del governo federale”, ha detto il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner. La Germania “non accetterà proposte di riforma che indeboliscano il patto di Stabilità e crescita dell’Ue”, ha ribadito Lindner, sottolineando che la proposta della Commissione sarà comunque “la base per ulteriori negoziati”, in cui la Germania sarà “costruttiva”.

In base alla nuova formulazione del patto di stabilità, i singoli Stati definiranno obiettivi di medio termine (4 anni) su come intendono affrontare squilibri macroeconomici e riforme, indicando solo un indicatore di spesa. Così si sostituisce l’automatismo della riduzione del debito di “un ventesimo” all’anno ma viene confermato l’impianto di fondo, riduzione del debito prima di tutto. I piani, estendibili di 3 anni, saranno valutati dalla Commissione e approvati dal Consiglio. Al termine del piano sulla spesa concordato il rapporto tra debito pubblico e Pil dovrà in ogni caso essere più basso. La correzione dovrà essere al minimo dello 0,5% del Pil (in Italia circa 8 miliardi di euro che possono salire a 15 se la correzione è spalmata su un periodo più lungo) all’anno finché il disavanzo resta superiore al 3%. La salvaguardia di aggiustamento dello 0,5% sarà indipendente dall’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo. Gli Stati con deficit oltre il 3% del Pil oppure con il debito oltre il 60% del Pil, dovranno garantire che il debito abbia un calo plausibile o resti prudente nel piano e che il deficit scenda o resti al di sotto del 3% nel medio termine: l’esecutivo ne parla come di “traiettoria tecnica”.

La proposta di riforma conferma la possibilità di attivare clausole di salvaguardia generali in caso di grave recessione economica nell’Ue o nell’area dell’euro che consentiranno di deviare dagli obiettivi di spesa. Saranno previste anche clausole di salvaguardia specifiche per Paese in caso di circostanze eccezionali al di fuori del controllo dello Stato membro con un impatto rilevante sulle finanze pubbliche. Il Consiglio, sulla base di una raccomandazione della Commissione, deciderà in merito all’attivazione e alla disattivazione di tali clausole.

“L’Italia dovrà ridurre il livello del proprio debito, credo che non ci sia nessun italiano che non sia consapevole, non solo al governo”, ha detto il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni a margine della presentazione della proposta di riforma del patto di Stabilità. “Quando questa riforma verrà approvata l’Italia potrà farlo in modo più graduale e potrà farlo anche nel modo che avrà deciso l’Italia”. Per chi è critico verso le politiche di austerità e gli effetti che hanno avuto in questi anni sul paese non un grande risultato, significa semplicemente che ogni paese può scegliere l’albero a cui deve comunque impiccarsi. “Gli Stati membri non potranno rimandare gli aggiustamenti di bilancio a una data successiva. Questo vale anche per la realizzazione delle riforme e degli investimenti necessari“, puntualizza il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis.

“Se il deficit pubblico di un Paese rimane superiore al 3% del pil, dovrà effettuare un aggiustamento fiscale minimo dello 0,5% del pil all’anno, da applicare come parametro comune. E non si può fare il passo più lungo della gamba, né il ‘backloading'” rinviando l’aggiustamento a un secondo momento. “Le nostre proposte rappresentano un approccio equilibrato che renderà più efficaci le norme fiscali dell’Ue. Esse si articolano intorno a quattro aree chiave: semplicità, titolarità, garanzie e applicazione”, ha aggiunto Dombrovskis. “Se il governo vuole aumentare la spesa pubblica, può farlo. Sullo scorta di questo approccio che si oppone al trend ciclico dovremmo ridurre un’eccessiva frequenza di queste procedure di infrazione, a meno che non vi siano grossi errori, e allora in questo caso vi sarà una regola molto rigorosa che è quella dello 0,5%”, ha aggiunto il vice presidente.

Le proposte di riforma “faciliteranno le riforme e gli impegni di investimento, sostenuti da un percorso di aggiustamento. Dovrebbero favorire la crescita, sostenere la sostenibilità fiscale e affrontare le priorità comuni dell’Ue”, continua con ottimismo il commissario Gentiloni. “Dovrebbero garantire che il livello complessivo di investimenti pubblici finanziati a livello nazionale per tutta la durata del piano sia superiore a quello del periodo precedente. E questa è ovviamente un’innovazione molto significativa rispetto al quadro attuale”. Gentiloni spiega che “Se da un lato le proposte forniscono agli Stati membri un maggiore controllo dei loro piani a medio termine, esse prevedono anche un regime di applicazione più rigoroso per garantire che gli Stati membri rispettino gli impegni. Per gli Stati membri che si trovano ad affrontare sfide sostanziali in materia di debito pubblico, la deviazione dal percorso di aggiustamento di bilancio concordato comporterà automaticamente l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo”. Sul calo del debito con il nuovo patto di Stabilità “certamente questo ritmo sarà molto più graduale e ragionevole rispetto alla regola del ventesimo, che di fatto ha reso molto difficile l’attuazione dei meccanismi di riduzione del debito nel corso degli ultimi 10-15 anni”.

“Il requisito previsto dalla proposta per i percorsi di aggiustamento è che ci sia un incremento degli investimenti pubblici. Non creso che sia accettabile che le nostre norme portino ad un declino progressivo degli investimenti pubblici. Dobbiamo impegnarci sul fronte delle spese pubbliche”, ha spiegato Gentiloni. “Abbiamo deciso di eliminare la procedura per un disavanzo eccessivo? No, abbiamo deciso di riconfermarla e comunque c’è un benchmark, pari allo 0,5%. Ciò che abbiamo aggiunto è avere una riduzione dello 0,5% anche prima di avviare una procedura di disavanzo eccessivo, mi sembra che la direzione sia quella espressa dai Paesi membri dei dibattiti”, ha aggiunto. Il commissario all’Economia conclude ricordando che “Il mese scorso il Consiglio ha chiesto di completare il lavoro legislativo entro la fine dell’anno. E sono fiducioso che potremo raggiungere questo obiettivo, se saremo all’altezza della sfida insieme. È nell’interesse di tutti gli Stati membri. Rassicurerebbe i mercati finanziari e gli investitori. Darebbe ai governi chiarezza sulla strada da seguire, considerando anche la disattivazione della ‘clausola generale di salvaguardia alla fine di quest’anno“.

Le reazioni in Italia – “Prendiamo atto della proposta della commissione sul nuovo patto di stabilità. È certamente un passo avanti ma noi avevamo chiesto con forza l’esclusione delle spese d’investimento, ivi incluse quelle tipiche del Pnrr digitale e green deal, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è”. Così in una nota il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Le proposte sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, presentate oggi dalla Commissione europea, non convincono pienamente. Se da un lato è positivo il tentativo di superare la rigidità delle attuali norme, le quali, evidentemente, non sono più adatte rispetto al delicato contesto economico che stiamo attraversando, dall’altro, purtroppo, il pendolo sembra aver oscillato in direzione del rigore e non della crescita“. Così in una nota il capodelegazione di Fratelli d’Italia-Ecr Carlo Fidanza e l’eurodeputato di FdI Denis Nesci componente della commissione Econ del Parlamento europeo. Molto critici i 5 Stelle: “La proposta di riforma ci lascia senza parole. Invece di cogliere questa occasione storica per una svolta che avrebbe consentito il rilancio delle economie europee prostrate da pandemia e guerra abbracciando politiche economiche espansive neo-keynesiane, si decide di tornare al passato, alle fallimentari dottrine dell’austerità e del rigorismo finanziari”, dichiarano i parlamentari del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Politiche europee di Camera e Senato.

“Valuto positivamente la proposta della Commissione europea. Apprezzo in particolare l’idea di superare gli attuali vincoli numerici che impongono dei percorsi di risanamento uguali per tutti a vantaggio di un approccio caso per caso, che tenga in considerazioni le condizioni strutturali, la congiuntura economica e gli impegni in termini di investimenti e riforme da parte di ciascun Paese”, commenta viceversa la parlamentare europea del Pd Irene Tinagli, presidente della commissione per i problemi economici e monetari a Bruxelles.

“La Commissione Ue ha appena presentato il pacchetto di proposta di riforma del patto di stabilità e crescita: sotto la rappresentazione grafica sul padulo pronto per l’Italia“, commenta in ,odo colorito su Twitter l0 europarlamentare della Lega, Marco Zanni, rilanciando sul suo profilo uno schema di simulazione che illustra la percentuale di aggiustamento annuale che, sulla base della riforma del Patto di stabilità, potrebbe essere assegnata a ciascun Paese e da cui si evince che per l’Italia la correzione sarebbe dello 0,85% del Pil l’anno.

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