Mi ero ripromesso di non parlare dell’incredibile campagna Enit per la promozione del turismo in Italia firmata dall’agenzia Armando Testa. Ne hanno parlato già abbastanza tutti, anche i media internazionali. Ma, dopo la figuraccia, è arrivata una lettera di scuse che merita invece qualche commento. Facciamolo in modo corale.
Sul social, vecchi pubblicitari come Pasquale Diaferia si sono schierati senza se e senza ma dalla parte della più grande agenzia italiana: “Sarà che io sono testiano per filosofia. Sarà che fare le campagne per un committente pubblico non è mai stata una passeggiata, soprattutto in Italia. Sarà che non amo parlare mai male del lavoro degli altri. Ma stavolta son proprio felice che in tanti siano cascati nella trappola. Un abbraccio a tutti i leoni da tastiera con un portfolio ridicolo. (Sì, la maggioranza dei commenti negativi è arrivata da gente che di solito fa i buoni sconto…)”. In sostanza dando dell’incompetente alla maggior parte degli altri colleghi, che invece hanno esposto giudizi inoppugnabili sul piano tecnico e dei contenuti, come Annamaria Testa.
Ma la spocchia contenuta nella lettera di “scuse”, pubblicata con una pagina a pagamento sul Corriere della Sera non è sfuggita nemmeno a Fabiana Giacomotti, già direttore scientifico del master in Valorizzazione culturale del Made in Italy presso il dipartimento di Sociologia dei processi culturali dell’Università di Roma “La Sapienza”: “A volte bisogna saper tacere. La paginata a pagamento di Armando Testa sul Corriere della Sera di oggi è il peggior esempio di gestione di crisi che mi sia capitato di vedere da anni. Ed evocare come una nota di merito la diffusione di un rubamatic dando dei cretini a commentatori, cronisti e anche a non professionisti che non avrebbero riconosciuto l’equivalente di un documento di lavoro (e perché mai avrebbero dovuto?) credo abbia alienato all’agenzia le ultime simpatie di cui godeva”.
Ecco alcuni punti salienti della lettera intitolata “Open to grazie”: “Quando una campagna di promozione turistica rompe il muro dell’indifferenza e riesce a dar vita ad un dibattito culturale così vivace come quello acceso in soli 5 giorni da Italia. Open to Meraviglia, rappresenta sempre qualcosa di positivo”. E ancora: “Grazie perché non accadeva da anni che la notizia di una campagna istituzionale suscitasse una eco di tale portata. Quando poi si tratta di una campagna solo presentata ma non ancora uscita, probabilmente di una portata unica”.
Cioè, pur non essendo ancora uscita la campagna, siete stati voi tutti, con le vostre polemiche, a renderla famosa, e quindi grazie. Prego. Se qualcuno crede ancora alla cultura del “purché se ne parli” e vuol farci credere che questa campagna debba essere evidentemente “di portata unica” visto che fa tutto questo casino prima ancora di uscire, per carità gli crediamo. La campagna ha già colpito i suoi obiettivi e a questo punto ci si può anche risparmiare la fatica di farla uscire.
Ma ecco un altro punto cruciale della lettera: “Grazie a tutti coloro che hanno immaginato che il video destinato alla presentazione del progetto – e dunque realizzato con materiale di repertorio – fosse già lo spot ufficiale della campagna”. Capito? Era solo un gioco! E ci siamo cascati tutti. Che mattacchioni! Il gioco consisteva nello spoilerare la campagna con i materiali della presentazione e nello stesso tempo mettere alla prova il pubblico e il cliente per vedere se si accorgevano che le scene erano state girate in Slovenia. Geniali! Nella mia città si usa dire “pèso el tacòn del buso” (peggio la pezza del buco). E mi sembra che sia della stessa opinione anche Matteo Flora, il più autorevole esperto italiano di gestione delle crisi.
Con questo, la strategia di comunicazione con cui si vorrebbe promuovere l’immagine dell’Italia nel mondo oltrepassa i limiti della decenza ed entra di diritto nell’eterno empireo fantozziano (quello della Corazzata Potemkin, per intenderci). Se poi questo modo di gestire la crisi voleva essere espressione del miglior Made in Italy, riferendosi alla lunga tradizione con cui le aziende italiane gestiscono le crisi, allora applausi.