Da un lato le compagnie dell’oil&gas come Eni, dall’altro le banche come Intesa Sanpaolo. Al centro, le scelte di chi investe. E sono nove gli investitori di Intesa Sanpaolo, per per un totale di circa 2mila miliardi di euro di attivi in gestione, che hanno scritto una lettera aperta al più grande gruppo bancario italiano, chiedendo di ridurre la propria esposizione al settore dei combustibili fossili, soprattutto per quanto riguarda il sostegno al carbone. Il tutto, a pochi giorni dall’Assemblea degli azionisti del prossimo 28 aprile, che si svolgerà per la quarta volta a porte chiuse grazie alla reiterazione delle norme anti-Covid contenute nel decreto Milleproroghe. Ma se Intesa Sanpaolo fornisce un chiarimento completo agli investitori in merito all’esclusione dai finanziamenti dei soggetti che sviluppano nuove miniere di carbone, non risponde alle altre richieste sul phase-out totale dal settore del carbone, come richiesto con urgenza dalla comunità scientifica internazionale, e sull’estensione della sua policy a tutti i servizi finanziari, compresi gli investimenti. E gli investitori rilanciano le loro richieste di chiarimenti, con un appello alla banca italiana. Ma questi sono anche i giorni successivi alla riconferma di Claudio Descalzi come amministratore delegato di Eni e, in vista della prossima assemblea degli azionisti del colosso dell’oil&gas, Reclaim Finance, ReCommon e Greenpeace Italia pubblicano una nuova analisi della strategia della compagnia, presentata agli investitori a marzo e inclusa nella relazione annuale del 2022. Gli analisti denunciano che gli obiettivi di Eni non sono affatto in linea con gli impegni sul clima sanciti dall’Accordo di Parigi e che la major italiana “continua imperterrita nell’espansione di petrolio e gas”.
I piani di Eni su petrolio e gas – Nel 2021, il colosso si è classificato al diciannovesimo posto tra i produttori globali di petrolio e gas e al ventesimo posto come sviluppatore del settore upstream di petrolio e gas a livello globale. L’azienda prevede di aumentare la propria produzione di idrocarburi a 1,9 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno, composta per il 40% da petrolio e per il 60% da gas, e di mantenere la produzione al livello di plateau fino al 2030. Se raggiungerà questo obiettivo, la sua produzione sarà superiore del 70%, rispetto al livello richiesto per allinearsi agli scenari di riduzione delle emissioni Net Zero Emission dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. “Eni non si è impegnata a interrompere lo sviluppo di nuovi progetti petroliferi e di gas oltre a quelli già in fase di sviluppo – ricordano gli analisti – mentre possiede 3.880 milioni di barili di petrolio equivalenti di risorse di idrocarburi scoperte che non sono ancora entrate nella fase di valutazione o sviluppo e, per l’esplorazione di nuovi campi petroliferi e di gas, dal 2020 al 2022 ha speso in media 787 milioni di dollari all’anno, il che la rende il diciassettesimo maggiore investitore al mondo in petrolio e gas”. Per ogni euro investito nella linea di business Plenitude, nel 2022 Eni ha investito più di 15 euro in petrolio e gas. “Tenendo conto che Plenitude contempla anche attività energetiche non rinnovabili, come la commercializzazione e la vendita al dettaglio del gas, che tra l’altro sono ancora le sue attività principali – spiegano gli analisti – per ogni euro investito in combustibili fossili meno di sette centesimi sono stati investiti in energie rinnovabili sostenibili.
La lettera degli investitori a Intesa Sanpaolo – Tra le banche che finanziano Eni, c’è anche Intesa Sanpaolo, che a luglio 2021 ha aggiornato la sua politica sul clima per ridurre i prestiti alle società del carbone e ha introdotto i suoi primi criteri di esclusione per il finanziamento dell’oil&gas non convenzionale. Nonostante gli impegni aggiornati, però, l’esposizione finanziaria del gruppo ai combustibili fossili continua ad essere significativa e, nel complesso, non allineata all’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, esattamente come quella di Eni. A scrivere all’istituto di credito sono stati Actiam, Candriam, Ecofi, La Financière de l’Echiquier, La Française Asset Management, Legal & General Investment Management, Mirova, Ofi Invest Asset Management, Storebrand Asset Management, che chiedono conto delle politiche sul carbone. “Intesa Sanpaolo dovrebbe prestare maggiore attenzione alle richieste dei propri azionisti e rafforzare la propria policy sul carbone” afferma Benedetta Carratelli, responsabile per ReCommon del coinvolgimento e degli impegni degli investitori che ricorda come la comunità scientifica internazionale chieda la graduale uscita dall’intero settore del carbone al più tardi entro il 2030 nei Paesi europei e Ocse nel 2040 a livello mondiale.
Gli impegni e l’esposizione ai progetti sul carbone – Eppure gli impieghi e le sottoscrizioni di Intesa Sanpaolo al settore del carbone sono quadruplicati, arrivando a 2,1 miliardi di euro, tra il 2020 e il 2021. La stessa tendenza riguarda gli investimenti, dove l’esposizione del Gruppo al settore del carbone è aumentata del 73% rispetto al 2020. Secondo i dati di ReCommon i finanziamenti di Intesa Sanpaolo al settore del carbone dal 2016 al 2022 ammontano a 13,7 miliardi di dollari, mentre gli investimenti al 1° gennaio 2023 ammontano a 1,8 miliardi di dollari. Proprio per questi motivi, gli investitori hanno chiesto all’istituto di credito torinese di “migliorare la propria policy sul carbone e di condividerla pubblicamente nella sua interezza”, escludendo i finanziamenti generici alle società che intendono sviluppare nuove miniere di carbone, adottando una definizione di soglia immediata e più stringente per l’esclusione delle società di produzione di energia elettrica da carbone e definendo una strategia globale per uscire completamente dal carbone al più tardi entro il 2030 nei Paesi europei/Ocse e nel 2040 a livello mondiale.
Occhio agli investimenti – Gli investitori chiedono anche di applicare questa policy “a tutti i servizi finanziari, compresi gli investimenti e la sottoscrizione di titoli”. Proprio su questo punto, le perplessità degli investitori rispetto alle risposte fornite. Pur apprezzando il fatto che “la banca abbia risposto alla lettera e si sia presa il tempo di rispondere”, la Française Asset Management, fa notare alcune mancanze: “Siamo rimasti delusi dal fatto che la risposta di Intesa Sanpaolo non offra alcuna indicazione di un cambiamento immediato della sua politica sul carbone. In particolare, non è stato detto che Intesa Sanpaolo estenderà la sua politica a tutti i servizi finanziari, compresi gli investimenti, né che si impegnerà a eliminare completamente il carbone”. Ricorda i passi già fatti sulla riduzione dei prestiti alle imprese del carbone e sui criteri di esclusione per i finanziamenti a progetti di petrolio e gas non convenzionali, Luc Riols, analista ESG, specialista sugli impegni per il clima di Candriam. E lancia un chiaro appello: “La banca ha fornito una risposta chiara in merito alla sua posizione sull’esclusione dei soggetti che sviluppano nuove miniere di carbone. In qualità di principale banca italiana, chiediamo ad Intesa di fornire ulteriori chiarimenti sulla sua strategia di eliminazione graduale del carbone ed estendere questa politica a tutti i servizi finanziari della banca”.