L’aggiustamento richiesto all’Italia dalla riforma del Patto di stabilità proposta dalla Commissione europea, pari a circa 8 miliardi l’anno su un orizzonte di sette anni, è inferiore a quella già prevista dall’austero Def del governo Meloni. Ma, almeno sulla carta, per i Paesi ad alto debito che si discostano dal percorso concordato con la Ue – controllo della spesa, riforme, investimenti – scatterebbe in automatico la procedura per disavanzo eccessivo. Risultato? Per il banchiere Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board della Banca Centrale Europea, “detto in parole povere, si tratta di un commissariamento della politica di bilancio dei Paesi ad alto debito, in particolare dell’Italia”. Intervistato su Repubblica, Bini Smaghi prevede che “non sarà un negoziato facile, a meno che i governi non accettino di cedere ulteriore sovranità fiscale“.

La Commissione “sostiene che con il nuovo sistema vi è una maggiore titolarità politica dei governi nazionali perché a questi è data facoltà di indicare i percorsi pluriannuali di risanamento”, continua il ragionamento. “In realtà, questi percorsi dovranno essere coerenti con le traiettorie tecniche fornite dalla Commissione stessa: se il Paese non si adegua viene messo automaticamente in procedura per disavanzo eccessivo. I mercati potrebbero reagire negativamente“. Anche perché “non c’è trasparenza sui criteri che verranno usati dalla Commissione per indicare le ‘traiettorie’. Si sa che verrà effettuata un’analisi della sostenibilità del debito per decretare la plausibilità della riduzione. Ma questo strumento è molto complesso e poco trasparente: richiama al caso della Grecia del 2010-2012“.

Dal canto loro i commissari Paolo Gentiloni e Valdis Dombroviskis, sul Sole 24 Ore, parlano di regole “più semplici, trasparenti ed efficaci” accompagnate da “attuazione più stringente per garantire che i Paesi si attengano alle regole concordate”. La riforma delle regole di bilancio “sosterrà più efficacemente la stabilità e la crescita a favore di cittadini e imprese europee”, sostengono. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha manifestato insoddisfazione perché “avevamo chiesto l’esclusione delle spese d’investimento, incluse quelle tipiche del Pnrr su digitale e transizione verde, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è”.

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