La decisione della Commissione Europea di rimettere un vincolo stringente sulla riduzione del deficit degli Stati membri è un atto di guerra. Lo è sicuramente nei confronti del popolo italiano che si vede applicata una stangata semiautomatica di 15 miliardi all’anno, ma lo è dal punto di vista più generale: è la conseguenza diretta delle politiche di guerra messe in campo dall’Unione Europea in quest’ultimo anno. Vediamo brevemente:

Di fronte alla sindemia del Covid, l’Unione Europea aveva parzialmente allargato i cordoni della borsa e sospeso le clausole più vessatorie dei trattati. Questa azione, sia pur contraddittoria, ha per una fase messo in secondo piano le politiche di austerità. Tutto è nuovamente precipitato nel modo più rovinoso con la scelta dell’Unione Europea di allinearsi ai diktat degli Stati Uniti nella guerra contro la Russia.

In primo luogo le sanzioni adottate contro la Russia hanno prodotto unicamente un disastro economico per l’Unione Europea e in particolare per i paesi che più avevano relazioni commerciali con la Russia, Italia in prima fila.

Le sanzioni non hanno prodotto il collasso dell’economia russa ma – insieme alla speculazione – una pesante inflazione nei paesi che hanno visto il prezzo del gas, del petrolio e delle materie prime aumentare a dismisura. Nell’area Euro l’aumento dell’inflazione nell’ultimo anno è stato del 6,9% ma per l’Italia è arrivato all’8,3%, pagato completamente dagli strati più deboli della popolazione.

A questo primo danno prodotto dalle sanzioni si è aggiunta la scelta del governo italiano di raddoppiare le spese militari, aumentandole di 18 miliardi all’anno. La scelta di guerra e di subalternità alla Nato ha quindi tolto altre risorse.

In terzo luogo è arrivata la sciagurata politica della Banca Centrale Europea: di fronte all’inflazione ha deciso di aumentare i tassi di interesse, producendo così recessione economica e difficoltà per il sistema bancario e per gli stati con un indebitamento più alto, come l’Italia. Si badi che la scelta della Bce è solo una operazione politica antipopolare, perché di fronte ad una inflazione totalmente importata attraverso i prezzi di gas e materie prime, l’aumento dei tassi di interesse non riduce l’inflazione ma semplicemente deprime l’economia e produce disoccupazione.

Così, oltre alla stangata dell’inflazione, gli strati popolari hanno anche pagato la stangata dell’aumento dei tassi di interesse. Questa politica, oltre ad aumentare il costo della spesa per interessi per l’Italia, riapre la possibilità che il nostro paese diventi un obiettivo della speculazione internazionale.

La scelta della Commissione Europea è quindi la ciliegina sulla torta che aggraverà pesantemente la situazione italiana. L’Italia si trova così, in virtù delle scelte guerrafondaie attuate in modo bipartisan da governi e Ue, a subire l’aumento dell’inflazione, poi l’aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico, poi la stangata europea e tra un poco la ripresa della speculazione sui titoli di stato.

Difronte a questa situazione il governo di destra pensa di affrontare la situazione tagliando ulteriormente la spesa sociale, aggravando così il disastro. Si tratta di un crimine che deve essere fermato. Occorre fermare le politiche di guerra e l’economia di guerra del governo Meloni e dell’Unione Europea!

L’Italia deve fare una cosa sola e cioè uscire dalle politiche di guerra e dall’economia di guerra. Per evitare di essere travolti dalla crisi l’Italia deve immediatamente azzerare l’aumento delle spese militari, risparmiando così esattamente i 15 miliardi che servono per coprire la stangata che ci sta arrivando sulla testa: i costi della guerra si paghino tagliando le spese militari!

In secondo luogo l’Italia deve smetterla di inviare armi in Ucraina (altri costi inutili e dannosi) e assumere una azione diplomatica alla ricerca della pace, contro la prosecuzione della guerra. La Cina ha appena aperto la strada del dialogo, il Papa da sempre chiede di aprire le trattative, vi è lo spazio politico affinché l’Italia si sganci dal carro della Nato e apra una politica di pace.

Per affermare questa alternativa di pace, centrata sul taglio delle spese militari, occorre la mobilitazione popolare, occorre far diventare il prossimo primo maggio un primo maggio contro la guerra e utilizzare tutti gli strumenti che ci sono a disposizione per cambiare le cose, compresi i referendum.

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