Dal 2 maggio i contribuenti potranno scaricare la loro dichiarazione dei redditi precompilata, il famoso modello 730. Era del tutto prevedibile che cominciasse la tradizionale polemica sulla complessità di questo documento e sulle difficoltà di compilazione da parte del contribuente che si troverebbe di fronte ad una mission impossible. Meno prevedibile era, almeno per il sottoscritto, che nella trappola del qualunquismo fiscale cadesse anche il giornalismo investigativo e di qualità.

Mi riferisco ad una breve nota pubblicata su un quotidiano in cui Milena Gabanelli descrive il modello 730 come una follia italiana (così nel titolo). Se anche giornalisti molto qualificati esprimono questo giudizio molto negativo, cosa dovrebbero pensare persone meno addentro alle questioni fiscali? Per fortuna la valutazione della giornalista è superficiale, e dunque errata, nella sostanza; e inopportuna nell’attuale contesto politico. Vediamo perché.

Non vi è dubbio che il 730 sia un modulo di una notevole complessità, con più di cento pagine di istruzioni. Istruzioni peraltro migliorate molto nel tempo, sia nella grafica che nel linguaggio. Quindi è abbastanza normale che ci sentiamo tutti un poco a disagio di fronte ad un documento di questa mole che compiliamo una volta all’anno. Peraltro il contribuente ha due possibilità per semplificarsi la vita fiscale: accettare la precompilata, ma sono in pochi, oppure affidarsi al consulente fiscale. In questo modo la partita è chiusa e il problema è risolto.

Ma non è questo il punto di Gabanelli. Immaginiamo invece di essere uno di quei quasi due milioni di contribuenti che scelgono di modificare la dichiarazione precompilata. Si trovano di fronte ad una montagna impossibile da scalare oppure ad un’impresa folle, come suggerito dal titolo, tutta italiana?

Le difficoltà, come giustamente sottolineato, derivano sostanzialmente dal quadro relativo alle deduzioni dal reddito e dalle detrazioni dell’imposta, il quadro E del 730, Oneri e Spese. Effettivamente la dichiarazione riporta ben 42 casi da considerare, se ho contato correttamente, e quindi il contribuente deve fare un certo sforzo per scegliere il suo caso. Si tratta di qualcosa di complesso? Certamente, ma a favore del contribuente e qui sta il punto. Ogni voce indica una possibile riduzione delle tasse, certamente non sgradita. Si può contestare l’opportunità di alcune voci, ma è indubbio che rappresentino una riduzione del carico fiscale.

La numerosità, a volte veramente curiosa, di queste riduzioni – che a certi commentatori fa venire il mal di testa – rispecchia una caratteristica fondamentale dell’Irpef, cioè quella di essere un’imposta personale che tiene conto delle condizioni economiche del dichiarante. Poiché in Italia abbiamo circa 40 milioni di dichiarazioni dei redditi è chiaro che la casistica può essere molto varia.

Il mito della semplicità spesso è molto ingannevole. Ad esempio, quando andiamo al ristorante ci fa piacere trovare nel menù una grande varietà di proposte, così ognuno può scegliere la sua. Se ne trovassimo poche, non saremmo molto contenti. In questo caso la semplicità del menù non sarebbe molto apprezzata. D’altro canto, non siamo obbligati ad ordinare tutte le portate di un menù molto ricco. Scegliamo quelle che più ci interessano. E così anche nella compilazione del 730. I casi sono tanti, ma quelli che ci interessano sono di norma molto pochi e comunque sempre vantaggiosi per il dichiarante.

Casomai, per offrire qualche interessante elemento di valutazione al lettore, si poteva evidenziare un fatto arcinoto e molto problematico che potrebbe portare a riconsiderare il barocco sistema delle deduzioni e detrazioni. Le deduzioni dal reddito si concentrano essenzialmente su due voci: quella per l’abitazione e quella per i contributi previdenziali degli autonomi. Nel caso delle detrazioni d’imposta, il 90% si concentra su tre voci: le detrazioni per lavoratori e pensionati, i carichi famigliari e le ristrutturazioni edilizie. Tutte le altre voci hanno un importo obiettivamente modesto e quasi trascurabile.

Di conseguenza c’è un ampio spazio per una possibile semplificazione che riduca il pulviscolo delle deduzioni e detrazioni minori, anche se questo non farà piacere a coloro che comunque le ricevono. Una proposta semplice potrebbe essere quella di eliminare quelle introdotte negli ultimi dieci anni, quelli dell’odierno populismo fiscale per intenderci.

Sparando addosso alla dichiarazione del 730 in maniera abbastanza superficiale con toni scandalistici non si rende un buon servizio al lettore, ma alla destra italiana che si sta muovendo velocemente su questa strada, con altri scopi che aiutare il contribuente.

C’è poi una seconda considerazione, più generale. Siamo sicuri che la complessità oggettiva della dichiarazione del 730 non sia molto amplificata dalla modesta cultura fiscale dei contribuenti? L’impresa, complicata di per sé, può diventare veramente impervia per ragioni soggettive. Può essere infatti che le difficoltà siano per lo più percepite e derivino da una scarsa preparazione economica degli italiani, come dimostrano le statistiche internazionali.

Infine, non mi fiderei molto del giudizio, richiamato nell’articolo, dei professionisti del fisco per i quali la materia tributaria è sempre complessa per definizione, e per ragioni ben comprensibili. Il confronto con Germania e Francia è poi impietoso per l’Italia, ma ancora di più, e di segno opposto, se passiamo dal fisco semplice a quello in cui le tasse le pagano tutti.

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