Era il 14 novembre del 1992 quando l’aereo della Vietnam Airlines 474 su cui Annette Herfkens viaggiava con il suo ragazzo si schiantò contro una parete rocciosa, provocando la morte dei 30 passeggeri che vi erano a bordo, dei piloti e degli assistenti di volo. L’unica a sopravvivere allo schianto fu proprio lei, Annette, che si ritrovò catapultata in un vero e proprio incubo. Per 8 giorni, vagò da sola, traumatizzata e disperata, nel mezzo della giungla vietnamita, alla ricerca di una strada verso la salvezza.
Al Guardian, dopo più di 30 anni dalla tragedia, Annette ha scelto di ripercorrere quei giorni: “Fu lì che dovetti decidere se combattere sul posto o andare. Scelsi indubbiamente di andare”, ha raccontato ora la donna. Un’esperienza che segnò la sua vita per sempre: per sopravvivere, mise da parte il dolore per la perdita del compagno Willem van der Pas, con cui era legata da 13 anni, e il trauma dell’incidente per trovare la forza di sopravvivere. Nonostante sia passato così tanto tempo, il ricordo si fa doloroso, e Annette fatica a ricordare i dettagli su come sia scappata dall’aereo e si sia adattata per 8 giorni in attesa dei soccorsi.
Le uniche cose che le tornano in mente sono ricordi frammentati: il suo ragazzo che la rassicura prima di salire a bordo, l’aereo che si schianta nel buio della notte, il dolore delle ferite e la sete logorante placata solo con dell’acqua piovana. “Probabilmente è auto protezione per dimenticare quel dolore lancinante, sia emotivo nel vedere Pasje morto, sia fisico per uscire da lì”, ha raccontato al quotidiano britannico. Quando i soccorritori la trovarono, aveva decine di ossa rotte, la sua mascella pendeva e un polmone era collassato.
Nel suo libro, “Turbulence: A True Story of Survival“, Annette racconta della filosofia che ha sviluppato in quel contesto estremo, chiamata “passo dell’ascensore“: un modo per estraniarsi dalle sofferenze pensando alle cose belle e al momento. “Confidavo che mi avrebbero trovato… non pensavo: ‘E se arriva una tigre?’ Ho pensato: ‘Me ne occuperò quando arriverà la tigre.‘ Non ho pensato: ‘E se muoio?’ Ho pensato: ‘Ci penserò quando morirò'”. Solo anni dopo, leggendo un libro di sopravvivenza, la donna ha constatato di aver fortunatamente fatto tutto per bene.
All’epoca, essendo molto giovane, il fisico di Annette si riprese velocemente, permettendole di tornare a lavoro solo 3 mesi dopo. Ma da allora qualcosa si è spezzato e, se anche è riuscita a rifarsi una vita, ora ovunque vada porta con sé una bottiglietta d’acqua, pensa a un piano di fuga in caso di pericolo e accetta di viaggiare in aereo solo se in prima fila, per non dover guardare gli schienali degli altri sedili, che le ricorderanno il momento in cui la sua vita cambiò per sempre.