Madeleine: una data, un ricordo, un personaggio – La rubrica del venerdì de ilfattoquotidiano.it: tra cronaca e racconto, i fatti più o meno indimenticabili delle domeniche sportive degli italiani

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“Ricordo Zola in camera con me. Ricordo Massimo Mauro in panchina con la radiolina, ricordo Luca Fusi che dice a Bigon di farmi entrare… E la festa, quella sì, non la dimenticherò mai”. Uno scudetto a Napoli è storia, inevitabilmente, e partecipare a quella storia da protagonista è sicuramente inebriante. Ma il ruolo di protagonista è riservato a pochi, ma può capitare di avere comunque un posto privilegiato: prima fila assoluta con possibilità di godere dei fatti che diventeranno storia e dei protagonisti che entreranno nella storia. Essere in panchina, sulla panchina del Napoli, il 22 aprile del 1990 a Bologna e chiamarsi Simone Airoldi significa quello: godere da un posto privilegiato di un evento storico. Un giovanissimo difensore, Simone Airoldi, nato a Giussano nel 1970, formato nelle giovanili del Como e scartato (assieme a Moreno Torricelli) dai lariani quando aveva 15 anni: gioca bene in Interregionale, e in una partita della rappresentativa dilettanti lo nota Giorgio Perinetti, all’epoca capo degli osservatori e responsabile del settore giovanile del Napoli.

“Nell’ultima partita della stagione 1988/89 il Napoli gioca a Como – racconta Simone – e Moggi in albergo ha giusto 45 secondi per me col contratto davanti: o firmi, o puoi andar via. E io naturalmente firmai”. Entra dunque a far parte del Napoli e già l’arrivo a fine estate è di quelli da raccontare: “Per arrivare al Centro Paradiso di Soccavo presi un taxi. L’unico dettaglio è che era lo stesso giorno in cui rientrava Maradona (dopo la querelle con Ferlaino e la mancata cessione a Marsiglia), quindi c’era una ressa incredibile: pensavano fossi Diego, videro me scendere dal taxi e feci il battesimo con il dialetto napoletano beccandomi molti “ma vafangul”.

Airoldi entra nella Primavera del Gaucho Morrone: “C’era gente come Marco Ferrante, Luca Altomare, Antonio Bucciarelli. Morrone si ruppe i legamenti, io ero uno dei pochi ad avere la patente e gli facevo da autista: ho imparato a guidare a Napoli praticamente, il che non è certo una cosa da nulla”. E qualche volta arrivavano le chiamate della prima squadra, la possibilità di allenarsi con Maradona: “Ricordo che mi ha stretto la mano la prima volta chiedendomi come mi chiamassi. Tre settimane dopo torno ad allenarmi con loro e lui subito mi accoglie con “Ciao Simone”: mi colpì che ricordasse il mio nome, e poi è capitato mi difendesse quando durante il torello qualcuno dei giocatori più grandi faceva il furbo. Sono cose che ti restano: ma è proprio vero che più grandi sono e più sono umili. È capitato condividessi la stanza con Gianfranco Zola in quel periodo, altra persona stupenda”.

E sì, perché arrivano anche le convocazioni in prima squadra, alla fine 4, ma una nella trasferta di Bologna, col Napoli che vince 4 a 2 mentre il Milan perde a Verona, consegnando lo scudetto. E Airoldi ricorda: “Emozionato? Per niente: sembrerà strano ma in quel periodo ero quasi distaccato. Certo era ovviamente un onore stare con gente del calibro di Careca, Maradona, Carnevale: ricordo che dal pullman ho portato parecchie borse negli spogliatoi ma funzionava così. Però ero calmo, se Bigon mi avesse chiesto di entrare in una gara che era assolutamente decisiva io sarei entrato tranquillamente: infatti Fusi glielo chiese anche, peccato il mister non gli diede ascolto, sarebbe stato bello”. Ma conta esserci: in panchina, a guardare quel trionfo, negli spogliatoi e poi in città: “Fu una cosa bellissima. Napoli è una città che mi è rimasta nel cuore: ho detto a mio figlio che dobbiamo fare un viaggio, toccando tutte le città dove ho giocato in carriera, cominciando proprio da Napoli”. Oggi è in Spagna da vent’anni Simone Airoldi, produce limoncello e di sicuro brinderà allo scudetto azzurro: “Sono contento: Napoli è stata una lezione di vita importante, non fosse stato per gli azzurri non avrei fatto il calciatore per 17 anni”. E toccato con mano la storia, accanto a Careca, in camera con Zola…con Maradona che ti chiama per nome.

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