“Come fa l’Europa a stare ferma, immobile, mentre osserva la sponda sud del mediterraneo divorata dal fuoco, senza capire che ad essere mangiato da queste fiamme è anche il suo stesso volto?”. E’ una domanda che continua a porre Nouri al Jarrah, poeta siriano, classe 1956, dopo decenni alla ricerca di una identità, culturale e sociale, che leghi le due sponde ormai divise da una storia lunga secoli.
Il tema dell’esodo è ormai diventato uno dei punti cardine nell’immaginazione poetica di al Jarrah. Ne sono la prova le sue precedenti raccolte di poesie, come “Una barca per Lesbo”, tradotta da Gassid Mohammed per L’Arcolaio, in cui, ancora, la traversata dei siriani, nuovi figli di Ulisse e delle macerie di Troia, è il perno dell’elegia. Per il poeta sono i figli come Telemaco a dover occupare il primo piano, passando dall’essere antieroi a protagonisti di una nuova Odissea moderna.
Un’avventura che per lo stesso al Jarrah comincia in giovane età quando è costretto a lasciare Damasco e la Siria perché, come tutti gli intellettuali, diventa inviso al regime della famiglia Assad. Prima tappa Beirut, dove, poco più che ventenne, conosce e si fa conoscere dai grandi poeti arabi dell’epoca. Poi un peregrinare che lo porta prima a Cipro per poi approdare negli anni Ottanta a Londra. E’ qui, nel freddo nord, che al Jarrah mette radici e continua la sua attività poetica – oltre venti raccolte di poesie – accompagnata da una intensissima attività giornalistica.
E’ nella riscoperta di ciò che abbiamo in comune, a nord e a sud del mare di mezzo, che potremmo trovare le risposte all’apatia odierna. Quella che ci rende ciechi a un paese distrutto, come scrive in questi versi: Dormi nelle tende di Siria / da Acri ad Aleppo è un paese di tende/ dormi / amore mio dormi/ dormi nella coscienza morta del mondo, togli le tue mani dalla croce/ e alzati/ tu sei vivo. Una assenza di riconoscimento che si tramuta in una totale indifferenza, quasi fastidiosa. Erano giovani siriani/ o avventurosi macedoni in attesa di una barca per Atlantide/ giovani con zainetti in spalla vengono alle porte e se ne vanno, parlano una lingua straniera ai cellulari/ con voci simili ad ali spezzate…
Cercando agli angoli delle nostre città; ai margini di qualche monumento o bussando alla porta di casa vicino a noi, potremmo ascoltare voci diverse. Voci che ci raccontano di un esodo alla ricerca di non una ma tante Itaca. Di milioni di esseri umani costretti all’esodo: un fluire costante verso l’esilio al quale Nouri al Jarrah, esiliato a sua volta, tenta di dare un volto chiedendoci di guardarci allo specchio per vedere l’altro.