Cultura

Fontana Project, se l’arte di Lucio Fontana incontra il teatro. Il regista: “Così ho messo ‘in moto’ la sua tela”

Al Teatro Vascello di Roma dal 26 al 30 aprile portano in scena “Fontana Project”, dedicato all’inventore dello spazialismo Lucio Fontana

di Simona Griggio

Poetico, potente, inquietante, intenso come un sogno da cui non vorremmo uscire. Non c’è un unico aggettivo che possa descrivere il lavoro di Emiliano Pellisari e Marianna Porceddu, artisti e coreografi alla guida della compagnia NoGravity. Al Teatro Vascello di Roma dal 26 al 30 aprile portano in scena “Fontana Project”, dedicato all’inventore dello spazialismo Lucio Fontana. Una performance visionaria che lascia lo spettatore immerso nell’incanto, intrappolato nel flusso delle immagini che si susseguono e si trasformano una nell’altra: sculture in movimento che disegnano, svelano lo spazio e il tempo. Quella tela che Lucio Fontana decide di tagliare, e dà avvio al processo di superamento dell’arte naturalistica attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti come la luce e, appunto, lo spazio. “Il mio lavoro è riaprire quel taglio”, spiega Pellisari. E aggiunge: “Ho pensato che si potesse andare avanti nel discorso filosofico di Fontana mettendo ‘in moto’ la sua tela e dando dinamica ai tagli per creare un ritmo reale attraverso la coreografia e la musica”. Le tele nello spettacolo sono anch’esse elementi dinamici su cui si riflettono la luce, i colori, il buio che ingloba tutto e da cui si respira la solitudine e la vertigine dei corpi: appesi, sospesi, liberi dalla materia come angeli sul punto di cadere o aggrappati all’infinito. Sono i movimenti dei danzatori a tracciare il concetto di spazio e tempo.

Lo squarcio nella tela di Lucio Fontana diventa il pretesto per Pellisari di un’indagine sull’uomo. “Dietro il taglio non c’è il nulla o l’infinito, entità astratte e puramente concettuali. Dietro il taglio di un uomo c’è l’uomo”, spiega. Poi specifica: “Fontana ha capito che solo sul confine si può trovare lo sguardo verso il tutto, i suoi tagli rappresentano delle possibili aperture verso l’altrove, verso una terza dimensione oltre i limiti imposti dalla piattezza del quadro. La superficie tagliata si moltiplica così in più superfici che attraverso il gesto interagiscono fra loro creando volumi, superfici incrociate, pieni e vuoti”.

È il 1946 quando a Buenos Aires Lucio Fontana collabora alla stesura di Manifesto Blanco, il documento scritto insieme ad artisti e studenti che pone le basi del Movimento Spaziale. La nuova tendenza artistica auspica un’arte integrale che rifiuti l’immagine naturalistica e si serva di luce, suono, vuoto spaziale. All’arte viene richiesto un cambiamento nell’essenza e nella forma. Per il superamento della pittura, della scultura, della poesia e della musica è necessaria un’arte maggiore in accordo con le esigenze dello spirito nuovo. Di lì a poco prenderà vita la “fase dei Tagli” (1958-1968), momento più alto della sua produzione.
“Nel suo manifesto Bianco, e ancor più lo precisa nei suoi testi ‘tecnici’ successivi – racconta Pellisari – Fontana affronta due concetti fondamentali: la dinamica e il tempo. Nel taglio lui vede il movimento, ovvero il gesto di tagliare cristallizzato. E vede il tempo, cioè una serie di tagli in successione”

La compagnia NoGravity, attraverso il teatro fisico, l’illusionismo del riflesso, la danza scultorea e l’utilizzo drammaturgico dello specchio inclinato in scena, una chiave della sua estetica, ha raggiunto una cifra artistica che si sottrae a qualsiasi etichetta. Le immagini visive che crea grazie al lavoro di ballerini di solidissima formazione sono addirittura destabilizzanti: il risultato di un lavoro profondo e accurato sul gesto in rapporto alla musica, alla luce, al significato dell’opera, alla tecnologia utilizzata. Affrontare in uno spettacolo l’opera di un artista come Lucio Fontana è un viaggio oltre la tecnica e la bellezza formale.

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