Fabio Fognini ha confessato di soffrire di attacchi di panico. A tal proposito ha raccontato quando alcuni anni fa, mentre era a Parigi, “una notte mi alzai quasi piangendo, vicino a Flavia Pennetta. Pensavo di morire. Stavo sudando, tachicardia, il braccio sinistro non lo sentivo. Pensavo mi stesse venendo un infarto. E invece no, era un attacco di panico. Il giorno dopo sono entrato in campo e non sapevo che pesci prendere, non riuscivo a respirare bene. Questi attacchi di panico vanno gestiti, ci si deve lavorare, abituando la mente con degli esercizi”. Parliamo di un disturbo che si valuta interessi dall’1,5 al 5% della popolazione italiana. Si manifesta generalmente tra i 15 e i 35 anni, con una seconda punta d’insorgenza tra i 44 e i 55 anni. È diffuso maggiormente nella popolazione femminile, ma i casi sono in aumento tra gli uomini, soprattutto professionisti e manager.

Di cosa si tratta? Quando parliamo di “attacchi di panico” che cosa si intende precisamente e come si distinguono dalle crisi di ansia?
“L’ansia in natura è un sistema di allarme che si attiva nelle situazioni di ‘potenziale pericolo’; gli attacchi di panico sono una crisi d’ansia acuta, che insorge repentinamente in assenza apparente di un motivo scatenante, caratterizzati da una forte componente somatica”, ci spiega la professoressa Emi Bondi, presidente Società Italiana di Psichiatria, Direttore DSMD, ASST Papa Giovanni di Bergamo. “Il pericolo in questo caso”, continua Bondi, “è la ‘paura di morire’ per qualcosa che ci sta succedendo fisicamente e che non riusciamo a capire. La persona che ne è colpita ha la sensazione fisica di stare male, inizialmente come difficoltà a respirare bene e poi con una sensazione fisica che non riesce a decifrare ma che lo spaventa perché è come se gli stesse succedendo qualcosa di molto grave (infarto, malore, ictus..). Dalla sensazione fisica si sviluppa poi l’ansia mentale, ossia la paura di poter morire in quell’istante. È una crisi acuta che sale rapidamente in pochi minuti, raggiunge un’acme e poi progressivamente passa, per un’attivazione disfunzionale della amigdala (il centro emozionale del nostro cervello che elabora gli stimoli legati alle emozioni che lo raggiungono). Nelle crisi d’ansia ‘normali’, ossia appartenenti a quella che si definisce ansia generalizzata o nelle fobie, l’ansia parte dalla nostra mente, ingenerata però da un apparente pericolo esterno. In altre parole, c’è un pensiero, una preoccupazione per qualcosa che dobbiamo fare, per un nostro familiare, per una qualunque situazione di stress che dobbiamo affrontare a cui rispondiamo con una iperattivazione, lo stato ansioso appunto, che in questo caso può durare anche ore e che è di minor intensità”.

Quali sono le cause principali e le situazioni più tipiche che possono provocare un attacco di panico?
“Più che cause, insorgendo appunto apparentemente senza causa, vi sono dei fattori di rischio genetici (esiste anche una familiarità per gli attacchi di panico) e ambientali: traumi infantili, situazioni di forte stress lavorativo o affettivo, cambiamenti di vita importanti, stili di vita disfunzionali caratterizzati da deprivazione di sonno, tabagismo, uso di sostanze”.

A seconda dei fattori che possono scatenare un attacco di panico, che cosa possono rivelare di noi?
“La necessità di fermarsi perché si è ridotta la nostra capacità di far fronte a eventi stressanti. In pratica, dobbiamo recuperare la resilienza, quella attitudine a sapere adattarci a un evento traumatico o a un periodo particolarmente difficile”.

Le persone che ne soffrono tendono anche a mettere in atto strategie di evitamento per la paura di subire un attacco. Per esempio, pensiamo a chi ha paura di viaggiare in auto in una galleria e per questa ragione sceglie percorsi più lunghi e tortuosi per aggirarle. Può farci altri esempi?
“L’attacco di panico per chi lo ha vissuto è equivalente a un vero trauma psichico, per cui facilmente si associa a condotte di evitamento, relative spesso al luogo o alla situazione nel quale lo ha vissuto, ma anche a situazioni in cui potrebbe verificarsi. Nelle persone che soffrono di attacchi di panico si ha spesso agorafobia, che non è la semplice paura degli spazi aperti, ma una situazione complessa caratterizzata da paura di trovarsi in una situazione da cui non è possibile fuggire o trovare aiuto in caso di pericolo o in cui può essere imbarazzante sentirsi male (es. calca, supermercati affollati) e che condiziona molto la vita delle persone. Altra situazione è la claustrofobia, la paura dei luoghi chiusi, in cui può ‘mancare l’aria’, ascensori, gallerie, appunto, viaggiare in aereo. Anche in questi casi, come si può facilmente intuire, le condotte di evitamento portano a ridurre significativamente la vita sociale e l’autonomia”.

Come si può uscire da questa situazione? Con quali terapie e anche azioni da mettere in atto?
“Dobbiamo rivolgerci a uno specialista che ci aiuti a capire cosa ci sta succedendo, a riconoscere la genesi psichica del disturbo (le persone sono convinte di avere una malattia fisica e continuano a fare esami e accertamenti) e a intraprendere il percorso più adatto sia di tipo farmacologico che psicoterapeutico”.

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