“Ci ha fatto tante promesse, in due anni non abbiamo visto un soldo. Difficilmente li vedremo, lo sappiano. Ma vogliamo interrompere questa pratica perversa, che negli anni ha visto truffati numerosissimi collaboratori”. Parlano quelli che hanno lavorato per la giornalista Monica Macchioni, ex regina dei comunicatori di Palazzo negli anni d’oro del berlusconismo, poi finita in declino perché – come ha raccontato lei stessa al Fatto – “la politica non paga più”. Sono una mezza dozzina e dalla sua “Male Srl” attendono compensi per attività svolte tra novembre 2020 e luglio 2021 con cifre che variano da 900 a 4mila euro, per un totale di 13mila euro. Che sembra impossibile recuperare. “Quando abbiamo tentato il blocco dei conti in Italia son saltati fuori giusto 30,5 euro”, insiste uno dei più esposti. “Ma leggo ora da un vostro articolo che può ancora permettersi di pagare 4mila euro al mese per una villa con piscina all’Olgiata, e mi sale il sangue alla testa. Dove mette i soldi allora? Come paga quell’affitto? Non è che fa la furba?”.
La Macchioni al fattoquotidiano.it ha spiegato che le sue crescenti difficoltà economiche e professionali sono dovute ai “tempi nuovi”, quelli in cui i politici comunicano senza filtro e sui social (con risultati non proprio brillanti) e i lobbisti fanno una concorrenza spietata abbinando alle pr contratti di comunicazione. Tempi duri, insomma, per gli uffici stampa “tradizionali” su cui lei, venuta dalla provincia di Modena, aveva eretto una piccola fortuna infilando un politico via l’altro in una collana di finta madreperla che non resiste alla prova del tempo.
Chi ha lavorato per Male Srl racconta altro. Ad esempio come il business “altamente specializzato” dei tempi d’oro facesse leva sull’ansia di visibilità dei politici, miscelata all’anagrafe e a un pizzico di dabbenaggine o pigrizia degli eletti. “Ogni collaboratore, su turni, aveva un contratto per 4 ore di lavoro a 900 euro lordi per inviare sui cellulari dei clienti, in apposite chat tematiche, le agenzie che già avevano dal servizio comunicazione della Camera d’appartenenza”. In altre parole, “pagavano fino a 12mila euro l’anno per farsi mandare le stesse cose che già avevano sullo smartphone, e potevano vedere da soli, semplicemente flaggando un argomento piuttosto che l’altro, come le categorie ‘Ambiente’, ‘Salute’ etc”.
Gli addetti a queste liste di distribuzione raccontano che non avevano contratti scritti ma solo verbali. “Eppure gestivamo queste chat con centinaia di numeri personali di politici e vertici istituzionali di ogni tipo e colore, compreso il cellulare di Berlusconi. Oltre al problema nostro, di inquadramento e dei pagamenti poi mancati, ci siamo sempre chiesti se fosse poi lecito e corretto il trattamento di quei dati”. Dopo tante promesse a vuoto, sei si sono rivoti a un legale per il sospetto che il debitore, in realtà, un po’ ci marci. “Non possono ricadere sui collaboratori che lei attiva le sue difficoltà di recuperare credito nei confronti dei suoi clienti. E comunque, considerando lo stile di vita che conduce e di cui si pavoneggia anche sui social, non sembra che non abbia possibilità di saldare i 13 mila euro che ci deve da due anni”.
Il 21 dicembre 2021 l’avvocato Fabio Venuto ha trasmesso a “Male” la prima diffida e costituzione in mora ex art. 1219 c.c.. La Macchioni risponde che “purtroppo è stato un periodo difficile, clienti arrestati, conti bloccati”, e chiede di rateizzare gli importi a partire da gennaio. Fa anche gli auguri di buon Natale. Pochi giorni dopo sottoscrive gli impegni a un piano di rientro ma alle prime scadenze non versa nulla. Vengono quindi depositati sei ricorsi per decreto ingiuntivo; una volta emessi i decreti, vengono notificati e non opposti nei termini di legge divenendo così “definitivamente esecutivi”.
Lei risponde di aver pazienza che un grosso cliente dovrebbe pagare e allora avrebbe provveduto a sanare in un’unica soluzione verso agosto-settembre 2022. Disattesa anche questa promessa, segue la notifica di sei atti di precetto e al 18.11.2022 il credito dei sei, tra spese e interessi è già lievitato a oltre 17mila euro.
A distanza di un anno e mezzo non ha versato ancora nulla, mentre ai malcapitati è toccato di anticipare le spese per le azioni legali promosse, compresi gli atti di pignoramento presso terzi che però hanno portato all’individuazione di un solo conto corrente. Con dentro 30 euro e 50 centesimi, una somma così modesta da non giustificare gli ulteriori esborsi necessari per l’iscrizione a ruolo. Trattandosi di Srl, i creditori non possono rivalersi direttamente sul patrimonio personale dei soci, semmai avanzare un’istanza di fallimento.
Esistono altre società riconducibili alla giornalista, come la “Macchioni Communications Carpe Diem Srl”, di cui risulta amministratrice unica dal 2013. L’ultimo bilancio disponibile nel sistema camerale risale al 2017 e registrava un fatturato di 764mila euro, un utile di 1.534. Ma come vada nei tempi correnti non è dato sapere. La Macchioni al Fatto.it ha spiegato che è diventato impossibile saldare i debiti se prima non pagano lei, e che i pochi soldi che entrano servono per i 3-4 dipendenti, altrimenti “tutto si ferma e non riesco a pagare nessuno”. Agli ex collaboratori dice “non scappo, sono l’amministratrice unica e pagherò tutto appena mi rimetterò in piedi”. I sei intanto aspettano. Da due anni.