Alle prossime amministrative di maggio non ci sarà alcun candidato impresentabile. Esattamente come è avvenuto ad aprile per le regionali in Friuli Venezia Giulia e le comunali di Udine. E prima ancora, a febbraio, per l’elezione dei governatori di Lombardia e Lazio. Solo un effetto ottico visto che la scomparsa dei candidati “impresentabili” non equivale all’assenza di personaggi con problemi giudiziari nelle liste: tutt’altro. Semplicemente se qualche condannato, pregiudicato o imputato si è candidato al consiglio comunale o regionale nessuno se ne è accorto. E nessuno se ne accorgerà anche a maggio, quando si voterà in quasi 800 comuni. Questo perché non c’è nessuno che controlla. Lo screening dei candidati con condanne o processi in corso per reati gravi, infatti, è affidato alla commissione parlamentare Antimafia. Che, però, ancora non esiste. O meglio: esiste, ma non ha ancora cominciato a lavorare.
L’attacco di Libera: “Cosa state aspettando?” – A sette mesi dalle elezioni, a sei dall’insediamento delle Camere e dal giuramento del governo di Giorgia Meloni, l’Antimafia ancora non funziona. Eppure sono già trascorsi 60 giorni dall’approvazione delle legge che, in quanto commissione speciale, è necessaria per la sua istituzione. Ad accorgersene, la scorsa settimana, è stata Libera che ha diffuso un comunicato di fuoco. “Cosa state aspettando? Nella politica del Paese il problema delle mafie, della corruzione, della criminalità dei potenti sono argomenti messi da parte: è giunto il momento di diventare più presenti in quei contesti scomodi e lontani dove le mafie proliferano”, ha scritto l’associazione di don Luigi Ciotti in una nota in cui chiedeva al Parlamento di accelerare sull’Antimafia. A fare partire la commissione, infatti, dovrebbero essere i presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa. Alle presidenze dei due rami del Parlamento, però, non sono ancora arrivati tutti gli elenchi degli eletti scelti dai vari partiti per far parte della commissione. Senza le liste dei componenti, dunque, la seconda e la terza carica dello Stato non possono convocare la prima riunione dell’organo che si riunisce a Palazzo San Macuto. È a quel punto che senatori e deputati voterebbero il presidente. Incarico che di solito spetta alla maggioranza. Ed è proprio sulla presidenza che, secondo quello che risulta a ilfattoquotidiano.it, tutto si è bloccato.
Il caso Varchi – L’accordo raggiunto dal centrodestra prevede che la poltrona numero uno di Palazzo San Macuto spetti a Fratelli d’Italia. Nel partito di Giorgia Meloni, però, sembrano non riuscire a mettersi d’accordo sul candidato giusto. E infatti a Montecitorio non sono stati ancora inviati i nomi dei deputati di Fdi scelti per far parte della commissione. Per settimane il nome maggiormente accostato alla presidenza era quello di Carolina Varchi, avvocata penalista di 40 anni, alla seconda legislatura in Parlamento. Varchi, però, è anche vicesindaca di Palermo, nella giunta di Roberto Lagalla, finita tra le polemiche per il ruolo giocato alle elezioni da Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri, pregiudicati per favoreggiamento a Cosa nostra e per concorso esterno. “La vicesindaca è stata eletta in una giunta che ha dietro i voti di Cuffaro e Dell’Utri, non so quanta attenzione vera si abbia alla lotta alle mafie”, aveva attaccato Enza Rando, senatrice Pd e responsabile Antimafia del partito, seguita a ruota da Nicola Fratoianni dell’Alleanza Verdi Sinistra. Negli ultimi giorni, dunque, l’ipotesi Varchi sembra essere tramontata: non tanto per le polemiche dell’opposizione, ma soprattutto perché la deputata non potrebbe occuparsi anche di presiedere una commissione delicata come quella Antimafia, mantenendo anche l’incarico di vicesindaca di una città grande come Palermo.
Il totonomi: da Colosimo a Dalla Chiesa – In casa Fdi si era ipotizzato di puntare anche su Raoul Russo, deputato siciliano alla prima legislatura, mentre negli ultimi giorni il nome più citato è quello di Chiara Colosimo. Romana, 37 anni, al primo mandato da deputata, Colosimo è una fedelissima di Meloni: doveva essere lei a correre come candidata governatrice del Lazio. La premier, però, le ha preferito Francesco Rocca. L’incarico a Palazzo San Macuto, dunque, sarebbe una sorta di risarcimento per Colosimo. Dai ranghi dell’opposizione, però, fanno notare come l’ex consigliera regionale di Fdi non abbia quasi alcuna esperienza nel campo della lotta alla criminalità organizzata. Un’obiezione che avrebbero fatto anche nel centrodestra, soprattutto nei ranghi della Lega. Ecco perché nei giorni scorsi Federico Cafiero de Raho, ex procuratore nazionale antimafia eletto a Montecitorio dai 5 stelle, aveva approfittato di un’intervista al quotidiano Domani per candidare Rita Dalla Chiesa alla presidenza. La deputata di Forza Italia, figlia del generale ucciso da Cosa nostra, ha rifiutato: “Sono molto onorata di quello che ha detto Cafiero De Raho ma io conosco i miei limiti. Se c’è una persona che io vedo per questo ruolo è mio fratello”. Suo fratello è Nando Dalla Chiesa, sociologo ed ex sottosegretario del governo di Romano Prodi. Problema: dopo le esperienze con la Rete e l’Ulivo, negli anni ’90 e 2000, non fa più parte della Camera e del Senato. Condizione che è indispensabile per presiedere una commissione parlamentare d’inchiesta.
L’attacco dell’opposizione – Così, mentre Fdi ragiona ancora sul nome giusto per la poltrona di presidente, l’Antimafia continua a rimanere una commissione fantasma. “Considero una vergogna che, dopo mesi, ancora il Parlamento nazionale non abbia avviato i lavori della commissione nazionale d’inchiesta contro le mafie“, ha attaccato Elly Schlein parlando a Palermo, alla cerimonia per l’anniversario dall’omicidio di Pio La Torre. “Penso sia grave e scandaloso che l’Antimafia non sia ancora partita. Si tratta di un organo fondamentale, soprattutto ora che in Italia stanno arrivando i miliardi del Pnrr”, dice Davide Aiello, deputato dei 5 stelle che faceva parte dell’ultima commissione. “Far saltare di nuovo il controllo sugli impresentabili – aggiunge l’esponente del M5s – è poi un chiaro segnale di disattenzione da parte della politica“. E dire che nella scorsa legislatura l’Antimafia aveva votato addirittura una riforma del codice che aumentava i filtri di controllo sui candidati. Per passare, però, quelle modifiche avevano bisogno del parere delle Camere: un parere – ricorda il presidente di quella Commissione, l’ex 5 stelle Nicola Morra – mai arrivato né da Montecitorio né da palazzo Madama. Quindi non solo è saltata la riforma che rafforzava i controlli sugli imprensentabili, ma è ormai praticamente certo che lo screening sulle liste non ci sarà neanche alle prossime amministrative. Il voto nelle Regioni a statuto ordinario è previsto per il 14 e 15 maggio, due settimane dopo invece si voterà in Sicilia e Sardegna: mancano, dunque, i tempi tecnici. Come dire: l’unico modo per non trovare candidati con problemi giudiziari in lista è rinunciare a cercarli.