È dato di queste settimane che in Italia un giovane su quattro sarebbe a rischio povertà, ovvero disponga di un reddito del 60% inferiore al già esiguo valore mediano nazionale. Il bel paese, infatti, figura ormai stabilmente tra le nazioni europee dove la vita dei giovani è più “dura”, in compagnia di Grecia e Romania. Le nuove stime di Eurostat – che troppo nuove non sono riferendosi al 2021, chissà che la situazione oggi non sia peggiore – non devono sorprendere. Troppo spesso, se non sottopagato, il lavoro in Italia non c’è proprio. Tra nero e contratti precari, sono quasi 2,8 milioni (cioè più di un quinto del totale) gli under 34 che non hanno un’occupazione, quasi il doppio della media europea. Anche su questo nell’Unione siamo a un passo dal podio, stanno meglio di noi 22 stati.
Per non parlare poi delle questioni previdenziali. Le nuove generazioni sono ben consapevoli che raggiunta l’età pensionabile l’assegno, se ci sarà, sarà assai magro e raramente consentirà di vivere in maniera dignitosa: almeno di un 25% più basso rispetto al passato, stima l’Inps. Se alla discontinuità e ai bassi salari aggiungiamo pure un ingresso nel mondo del lavoro che avviene sempre più in ritardo e la crescente problematica della denatalità, la miscela diventa esplosiva. Per l’Ocse un giovane italiano che inizia a lavorare oggi non vedrà la pensione prima dei 71 anni, in media 5 anni dopo i suoi colleghi europei. E pensare che i francesi riempiono le piazze per non andarci a 64.
La domanda a questo punto sorge spontanea: perché restare? Nel 2022 più di un giovane su dieci ha scelto la via dell’espatrio, andando a ingrossare le file dei quasi due milioni già residenti all’estero. Un esodo obbligato che va avanti da tempo e interessa ogni anno 50mila ragazzi, spesso e volentieri laureati (che in Italia sono già pochi). Le prime mete non sono lontane: Austria, Belgio, Francia, Germania e anche Spagna. Lì pare si possa addirittura sperare in un tenore di vita adeguato e una retribuzione in linea con le proprie competenze.
Nella cornice del primo maggio, una fotografia del paese non certo confortante. Su almeno un fronte però, il nuovo governo avrebbe pronto un piano d’attacco. Dopo una legge di bilancio al solito striminzita sotto la voce giovani – nello scenario attuale un 2% in più di risorse è una goccia nel mare – l’esecutivo a guida Meloni punta ai Neet, gli inattivi: chi tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora. In Italia sono quasi 3 milioni, un triste primato europeo consolidato dalla pandemia. L’ipotesi sarebbe quella di corrispondere un bonus pari al 60% della retribuzione mensile lorda a chi deciderà di assumerli. Staremo a vedere. Intanto la Costituzione resta lettera morta con quel “protezione della gioventù” (vedi articolo 31) che ormai suona quasi beffardo.