Ha proprio ragione l’On. Cafiero De Raho: l’On. Rita Dalla Chiesa sarebbe la presidente giusta della Commissione parlamentare anti mafia e forse anche la presidente Meloni potrebbe convincersene.
Quando qualche giorno fa ho letto le dichiarazioni di Federico Cafiero De Raho, già Procuratore Nazionale anti mafia, approdato in Parlamento grazie al M5S, intervistato da Domani sono rimasto sinceramente interdetto, come probabilmente lo è rimasta anche l’intervistatrice. Certo la questione del mancato avvio dei lavori della Commissione Antimafia istituita ormai due mesi fa è scottante, come denunciato anche da Il Fatto recentemente. Ma come – ho pensato – va bene la giusta dose di pragmatismo che faccia accantonare ipotesi romantiche di una presidenza affidata non a chi è di maggioranza, perché è di maggioranza, ma a chi ne sa, pur essendo di opposizione; ma proprio pensare ad una esponente di Forza Italia, ancorché con quel cognome e con una storia diritta diritta?
Tanto che pure la brava giornalista, Vanessa Ricciardi, ha incalzato De Raho facendogli notare che la Commissione avrebbe dovuto occuparsi anche dei presunti rapporti tra Berlusconi e la mafia, ma Cafiero ha tenuto il punto sottolineando la caratura morale di Rita Dalla Chiesa, che ne avrebbe fatto in ogni caso una garanzia di autonomia. A farmi superare le perplessità sono state prima di tutto le parole con le quali la diretta interessata ha reagito a chi (Adnkronos) nella stessa giornata del 28 aprile le chiedeva di commentare le affermazioni di De Raho: ringrazio, ma conosco i miei limiti, sarebbe meglio che fosse riconosciuto il valore su questi temi dell’impegno di mio fratello Nando. Questo il succo.
Ecco: riconoscere i propri limiti, quando non lo si faccia per tatticismo ipocrita (e non mi è sembrato questo il caso), è una rara manifestazione di onestà intellettuale, soprattutto in politica, dove si è piuttosto portati a millantare anche competenze che non si hanno. Una persona che sa riconoscere i propri limiti, che li sa ammettere pubblicamente e sa riconoscere di pari passo quelli di qualcun altro dà una prova tangibile della propria credibilità, come la dà un mafioso quando decide di collaborare con la giustizia: tutto il resto è difficilmente apprezzabile.
Ma ci sono almeno altre due considerazioni che mi hanno persuaso della bontà della indicazione di De Raho.
La prima: all’opinione pubblica di questo Paese interessano sempre meno le relazioni criminali esistite e presunte tra il sistema di potere berlusconiano e la mafia. Prova ne è la decisione dell’europarlamentare del Pd, Caterina Chinnici, di passare proprio a Forza Italia. La Chinnici è un’altra che, oltre al cognome, rappresenta una storia personale fatta di impegno lineare sia professionale che politico, eppure pare non sia stata sfiorata nemmeno un po’ dalle parole di chi le ha fatto notare che approderebbe nel partito fondato da un uomo che per decenni ha pagato la protezione di Cosa Nostra mentre Cosa Nostra faceva strage di decine di servitori dello Stato, compreso suo padre, un partito co-fondato da Dell’Utri, nel quale hanno scritto pagine di storia personaggi come Antonino D’Alì (in Sicilia), Amedeo Matacena (in Calabria), Nicola Cosentino (in Campania). Niente! Nemmeno le amare parole di Alfredo Morvillo, magistrato, fratello di Francesca Morvillo, magistrata assassinata da Cosa Nostra insieme al marito Giovanni Falcone, pronunciate alla presentazione del libro dedicato alla sorella nella scorsa primavera, quando ormai era chiara la rinnovata presa sull’elettorato siciliano di Dell’Utri e Cuffaro: sono morti per niente.
La seconda: ma davvero De Raho crede che il Parlamento e segnatamente la Commissione parlamentare anti mafia si occuperebbero delle relazioni criminali esistite e presunte tra il sistema di potere berlusconiano e la mafia? Vorrei liberare lo stimato De Raho da questo “pensiero stupendo”: no, non esiste alcuna possibilità. Per citare l’ex Procuratore di Roma, Pignatone, che parlava di ‘ndrangheta nel vibonese in una audizione in Commissione antimafia di ormai quasi dieci anni fa: esistono delle “no fly zone” e quella del sistema berlusconiano è una delle meglio presidiate che manco la Nato farebbe di più.
Fortunatamente per me lo spazio di questo blog, gentilmente offertomi dalla redazione de Il Fatto, è tale da non consentirmi di dilungarmi e mi solleva dall’imbarazzo di fare esempi circostanziati a riprova di questa mia affermazione. E’ più facile che la Commissione si occupi di mafia caucasica, di gatti neri o di sistema Montante, piuttosto che di Berlusconi; e ci sono cento modi eleganti per evitare questo scoglio. Perché c’è sempre un qualche processo aperto col quale è opportuno non sovrapporsi con attività della Commissione (e in questo caso c’è almeno l’inchiesta di Firenze) e c’è sempre una qualche finezza procedurale per allontanare da sé il ciglio del burrone, come rinunciare a far votare una relazione adducendo l’intervenuta fine della Legislatura, come fece l’allora presidente della Commissione Antimafia, Senatore Pisanu, nella XVI Legislatura.