“Penso alle famiglie che vivono la quotidianità con figli che hanno una qualche disabilità: la società di oggi oscilla tra pietà e noncuranza, senza un vero e proprio processo di integrazione”. C’è ancora molta strada da fare sul tema secondo Francesco Zani, giovane scrittore romagnolo che ha scelto di raccontare la diversità nel suo esordio letterario Parlami (edito da Fazi). È la storia di un bambino speciale che, con i suoi silenzi e le sue fragilità, scardina i meccanismi di una famiglia ordinaria e ne ridisegna la quotidianità. Definito, a ragione, romanzo di formazione, Parlami può dirsi anche un efficace strumento di educazione sentimentale.
Chi è Francesco Zani e come approda alla scrittura?
“La cosa che, da sempre, amo più di ogni altra nella vita è raccontare storie: da bambino, poi da adolescente, all’università e anche ora. Sono partito dallo sport – mia grande passione – e da lì ho spaziato tra articoli di giornali e riviste, programmi televisivi, spettacoli teatrali, comunicati stampa, post sui social e libri per altri. Poi, durante il lockdown, ho finalmente deciso di raccontare qualcosa che fosse solo mio”.
Quanto c’è di Zani in questo primo libro?
“In Parlami non c’è niente di completamente falso e niente di completamente vero. Ho voluto mescolare aneddoti, ricordi, nostalgia, infilandoci elementi di finzione che mi divertivano, ma sempre coerenti. Mi piace partire da contesti reali per raccontare le storie che mi interessano. Dunque, non c’è nulla di autobiografico ma ho provato a metterci dentro tutta la vita che potevo”.
Parlami è il ritratto di una famiglia ordinaria, nella Cesenatico degli anni 90, travolta dall’arrivo di un bambino speciale. Alessandro, detto Gullit. Cosa le ha dato questo personaggio e cosa vorrebbe che restituisse ai lettori?
“Con Gullit ho voluto raccontare la sofferenza piccola, quella che monta ogni giorno nel silenzio e piano piano si mangia la vita. È un dolore meno eclatante, meno sponsorizzato, e anche meno indagato, ma secondo me diffuso e anche, in qualche modo, poetico. Gullit parla poco e le persone che stanno zitte sono quelle che più mi affascinano perché non invadono mai ma si lasciano scoprire. Dentro di lui – inoltre – abita un istintivo senso di giustizia che sgorga spontaneo e non può essere fermato”.
Dagli anni 90 a oggi la società è cambiata, per molti versi si sta evolvendo, per altri meno. A che punto siamo secondo lei nell’accettazione e nell’inclusione del “diverso”?
“L’accettazione del ‘diverso’ rimane un processo ancora lungo e doloroso. Se pensiamo al ‘diverso da noi’ inteso come straniero, allora la situazione italiana è tragica, e la Riviera Romagnola non fa eccezione. C’è un sommerso di lavoratori e manovalanza che viene sfruttato con pochi scrupoli e senza che nessuno abbia il coraggio e la voglia di fare qualcosa. Se allarghiamo ulteriormente il concetto di ‘diverso’, la situazione si complica. Penso alle famiglie che vivono la quotidianità con figli che hanno una qualche disabilità: la società di oggi oscilla tra pietà e noncuranza, senza un vero e proprio processo di integrazione”.
I social sono sicuramente una delle principali differenze rispetto al secolo scorso. In questi giorni, sta girando il video di Giada Canino, campionessa paralimpica di danza sportiva con sindrome di down, insieme a suo papà. Un video contro il bullismo sui social. Molti haters di Giada sono proprio ragazzini. Come te lo spieghi e cosa credi si possa fare per arginare questa situazione?
“I giovani d’oggi vengono spesso colpevolizzati in maniera eccessiva, secondo me, soprattutto perché attraversano fasi delicate che vengono amplificate dall’uso dei social. Quando io avevo 16 anni e dicevo una stupidaggine rimaneva al bar, adesso purtroppo va in tendenza su TikTok. I social sono un grande strumento che spesso viene usato a sproposito ma credo che la Generazione Z venga accusata oltre le sue reali colpe e senza tener conto di alcune criticità. Viviamo a contatto con intere classi a cui una devastante pandemia ha tolto la socialità. Più che puntare il dito, servirebbe forse abbracciarli e capire come comunicare con loro”.
Oltre ai necessari interventi normativi e istituzionali, che ruolo può avere in questo la letteratura?”
La letteratura per me è la cosa più bella del mondo; tramite le parole di un libro penso si possa insegnare più che con qualunque altro strumento. Vorrei che tutti lo capissimo meglio e investissimo negli incontri tra gli scrittori e le scuole, di ogni ordine e grado, a tutti i livelli e in tutti i modi”.